All’Asian Film Festival di Roma “Night and Fog” di di Ann Hui. Dramma della povertà: tutti i particolari in cronaca
(Dal nostroinviato Alessandro Aniballi)
16/07/10 – Ann Hui, cui l’Asian Film Festival ha dedicato una retrospettiva nel 2007, è una cineasta che come tutti i colleghi della sua generazione (la leva di registi che ha aperto la strada al rinnovamento del cinema hongkonghese all’inizio degli anni Ottanta) ha innervato la sua opera di un ampio eclettismo. Prova ne sia la sorprendente dissonanza tra The Postmodern Life of My Aunt (2006), racconto eccentrico ultra-colorato, e The Way We Are (2008), realistica messa in scena di vite dimesse e appartate. L’ultimo lavoro della regista hongkonghese, Night and Fog, 2009, presentato all’ottava edizione dell’Asian Film Festival, è decisamente più vicino a The Way We Are per l’uso del digitale, per il dispiego di una scarna messa in scena e per l’aderenza ai meccanismi del dramma sociale. Laddove però nel suo film precedente Ann Hui lavorava su mezzi toni e lunghi silenzi, qui invece sceglie, sia pur sull’onda meritevole della volontà di denuncia, di mostrare ogni forma di violenza. La storia, tratta da un episodio di cronaca, è quella di una donna originaria del Sichuan immigrata a Hong Kong e sposatasi con un uomo del posto, da cui ha avuto due gemelline; costui però diventa mano a mano più aggressivo fino alla follia cieca e irrazionale. A tratti si ha l’impressione che la regista fatichi a tenere le briglia di un racconto così difficile oltrepassando il crinale del patetico e, addirittura, dell’osceno (di quel che “deve” rimanere per l’appunto fuori scena, lasciato nel campo del non visibile: si veda la violenza alle bambine) ma, come al solito nel suo cinema, si riesce nel complesso a leggere un discorso compiuto, personale e, almeno in questo caso, glaciale.
Il vero tratto disturbante della vicenda è la condanna della cultura cinese tout court: i genitori contadini della protagonista stravedono per il marito della figlia e gli dicono chiaramente che lui può fare quel che vuole. Non a caso l’uomo, di per sé descritto positivamente in alcuni flashback, comincia a cambiare personalità proprio quando si trova nel Sichuan, quando sente il richiamo ancestrale della fame e allo stesso tempo crede di avere potere di vita e di morte sulla moglie (e anche sulle sorelle di lei), in qualche modo autorizzato dai suoceri. Ecco che allora la vicenda si complica e lascia da parte le contrapposizioni manichee, spesso presenti in certo cinema cinese, che vedono Hong Kong quale simbolo del mondo urbano e dunque della malvagità e la Cina continentale come “infantile” locus contadino e perciò regno del buon selvaggio. Al contrario, in Night and Fog alla lunga emergono contrasti apparentemente irrisolvibili che arrivano nell’ultima parte a svelare il nodo gordiano della vicenda: la condizione di sfruttamento della donna nella moderna Hong Kong e nel Sichuan imbevuto della tradizione, diversa nei fatti ma uguale nella sostanza. Nel panorama del cinema contemporaneo, non solo orientale, il film di Ann Hui è un rarissimo esempio di aperta denuncia (sono messe sotto accusa anche la polizia e l’assistenza sociale) che riesce quasi miracolosamente a evitare le finte ricostruzioni di matrice televisiva.