Quarant’anni fa Hayao Miyazaki e Isao Takahata, in un impeto anomalo, scrissero insieme l’adattamento per il grande schermo di un classico della letteratura per ragazzi anglosassone: The Borrowers, scritto dall’inglese Mary Norton. Poi, nel 1997, da una coproduzione anglo-statunitense, venne I rubacchiotti, goffo ma pittoresco tentativo di portare su pellicola le avventure dei piccoli gnomi d’appartamento in live action. Qualche tempo fa Miyazaki ha deciso di proporre il suo progetto per un film d’animazione al produttore, Toshio Suzuki. Così lo Studio Ghibli fa uscire ora in Italia l’esordio nel lungometraggio di uno dei suoi giovani animatori più esperti, Hiromasa Yonebayashi. Arrietty è una riduzione in distillato dell’originale letterario; una favola essenziale fondata sulla cura dei piccoli dettagli che concentra il suo fulcro sul disegno delle relazioni tra i personaggi. Sho, adolescente malato di cuore, viene a passare un periodo di riposo nella casa della nonna, dove si dice abitino piccoli esseri. L’incontro con la coetanea Arrietty è per lui l’esaudimento di un desiderio e il motivo di una nuova speranza.
Sceneggiatura e regia convergono nel dilatare e ritrarre con esattezza i gesti, le espressioni, i versi e le parole che i protagonisti si scambiano mentre tra loro cresce una reciproca fiducia, e lo stupore di un’amicizia apparentemente impossibile. Un film sul piccolo e sui piccoli, ma niente affatto “per bambini”, che, seguitando la tradizione dello Studio Ghibli, costruisce il suo racconto all’insegna della scoperta degli altri, e dell'”Altro”, attraverso l’esplorazione dello spazio e l’esperienza del viaggio. Un romanzo di formazione in miniatura – ancora una volta popolato di animali amici e nemici, sempre a metà tra l’osservazione naturalistica e il ritratto fantastico – che mette insieme l’elogio della vita semplice con la critica del possesso e del consumo, il canto dello stupore fanciullesco con un discreto invito alla tolleranza.
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