Dalla nostra inviata GIOVANNA BARRECA
Ambientazioni davvero protagoniste di Another silence di Santiago Amigorena, così come di Ruggine di Daniele Gaglianone , altro film selezionato per le Giornate degli autori a Venezia 68. Due scenari così potenti e suggestivi da guidare entrambe le narrazioni.
Il regista argentino ci porta prima di tutto in una Toronto innevata, ovattata, dal silenzio assordante e dai colori freddi e scuri dove tutto prelude alla tragedia che di lì a poco sconvolgerà la vita della protagonista Maria, una poliziotta alla quale, per una vendetta mafiosa, uccidono il marito e il figlio di 10 anni. I due la salutano per andare a una partita, ma una raffica di mitra li fredderà lasciandoli cadaveri nell’auto sulla quale erano saliti. La donna, preoccupata per la loro assenza, per tutta la notte sposta e dispone nella stanza del figlio i giochi, già consapevole della tragedia che si è consumata tanto da non aprire neppure alla collega che, per parlare con lei, prova a entrare in casa con la forza. Da quella ricerca di ordine nella disposizione degli oggetti ludici del figlio inizia un viaggio di iniziazione per Maria ormai totalmente sola al mondo che, cercando inizialmente vendetta, si espone a ogni genere di pericolo anche perchè nello stesso tempo vorrebbe trovare la morte per placare il dolore insostenibile che porta nel cuore. Nell’inferno dei quartieri malfamati della città, con luoghi sempre bui e freddi, prende il via il viaggio alla ricerca di Pablito, esecutore dell’assassinio; un viaggio che proseguirà in Messico dove la desolazione della neve verrà sostituita dall’aridità accecante della sabbia. Qui finalmente la donna riuscirà a elaborare il lutto e a dare una traiettoria diversa alla sua sete di vendetta scoprendo di essere legata, fisicamente e simbolicamente, allo stesso Pablito per delle cicatrici causate dalle armi da fuoco che hanno sconvolto per sempre le loro esistenze.
In Another Silence tutto è essenziale e molto concreto in uno scenario di linee semplici ed elementari, assolutamente distanti dalle meccaniche classiche di un thriller, di cui viene usato solo lo scheletro del plot. C’è al contrario nel film un forte realismo nella successione temporale degli avvenimenti e quasi un’alternanza naturale tra la notte – della morte – e il giorno della rinata speranza di futuro. E nella scansione delle sequenze prevalgono, grazie a una regia asciutta, i campi di ripresa lunghi e ampi, dove la figura umana – soprattutto di Maria – si trova sempre in perfetto equilibrio e mai estranea. Lo sguardo predominante è questo e l’autore – nato in Argentina ma adottato da ormai vent’anni in Francia dove ha potuto realizzare più di venti film (Quelques jours en septembre del 2006 è il più noto, distribuito in 30 paesi) – probabilmente lo sceglie proprio per guidarci nel percorso di conoscenza di sé compiuto dalla donna. E in questa chiave il film trova una sua precisa ragion d’essere.