Dal nostro inviato Silvio Grasselli
Ascolta l’intervista di RADIOCINEMA al regista:
Fuori concorso nella sezione Extra – da sempre consacrata al cinema documentario – è arrivato un inconsueto esempio di reportage cinematografico. African Women nasce dall’esperienza del regista Stefano Scialotti al World Social Forum di Dakar: lì avviene per lui la scoperta del progetto NOPPAW (Nobel Peace Prize for Africa Women) e di conseguenza anche del decisivo ruolo che le donne stanno svolgendo nel progresso civile, economico e sociale dell’Africa subsahariana. Girato lungo un viaggio attraverso il Senegal – condotti da un mediatore del luogo e accompagnati dal musicista Louis Siciliano – il film è quel che Zavattini avrebbe forse detto “un film lampo”: un reportage girato e montato in poco tempo, “scritto”, costruito lungo il percorso della sua realizzazione. Dalle disseccatrici di pesce, alle coltivatrici che si sono associate in cooperativa, da un progetto d’istruzione per bambine alla vita di un piccolo manipolo di donne, tutte mogli e figlie dello stesso uomo, Scialotti procede per incontri estemporanei, eppure esiste una distanza tra il suo sguardo e quello dei dieci, cento, mille “filmmakers” persi nel mondo dietro la convinzione che vedere sia già guardare, e che per guardare basti vedere.
Scialotti riesce nel difficile esercizio di registrare una situazione senza concentrarsi sulla documentazione dei “fatti”: si vede quel che serve, nel modo che serve; si ascoltano poche parole, la maggior parte cantate, il resto pronunciate come se fossero sassi tirati contro l’ingiustizia e la miseria. La regola che sembra sostenere il lavoro di Scialotti è l’umiltà: il tema del film esiste già prima di partire, ma è semplice, una missione piuttosto che un’ipotesi, il resto è scoperta prodotta dalla curiosità. Non sono le informazioni a far procedere il film, e nemmeno la necessità di fornire prove oggettive allo spettatore. Di situazione in situazione, d’incontro in incontro, l’obiettivo si fa concavo e raccoglie quel che può, concentrandosi sui dettagli più brillanti: uno specchio che passa in mezzo alle strade chiassose della città, nelle mani di un anonimo, i movimenti cadenzati dei corpi stanchi delle donne al lavoro, come onde esauste che seguitano il loro incessante andirivieni, e infine le danze frenetiche, quasi dissennate in mezzo al cerchio delle donne, dentro la musica che serve a lenire ogni dolore, a sostenere ogni protesta. Alla fine è questo ammasso leggero e pesante di parti, di frazioni di movimenti, di voci e di volti agitati più di ogni possibile dato o statistica, informazione o comunicazione, a fare del reportage un “gesto” giusto, necessario e per questo efficace.