In una delle cinematografie più periferiche del panorama europeo, quella greca, c’è posto anche per una figura d’autore che ha saputo conquistare platee mondiali tramite un linguaggio mediato tra specificità culturale e convenzione internazionale. Si tratta di Michael Cacoyannis (versione anglicizzata del vero nome Mihalis Kakogiannis), scomparso ieri all’età di 89 anni, autore del celebre Zorba il greco (1964) con Anthony Quinn, tratto dal romanzo omonimo di Nikos Kazantzakis. Originario dell’isola di Cipro, Cacoyannis testimonia il suo spiccato cosmopolitismo già nella sua stessa formazione, poiché in gioventù trascorse diversi anni a Londra per motivi di studio, per poi produrre, durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale, programmi radiofonici alla BBC in lingua greca. Non riuscendo a ritagliarsi un suo spazio nel cinema britannico, Cacoyannis tornò poi in Grecia dove esordì alla regia nel 1953. L’insieme delle sue opere è sostanzialmente tutto da recuperare. Se ne son perse le tracce ormai da anni, pure del famosissimo Zorba il greco, che all’epoca della sua uscita nei cinema godette di grande popolarità e raccolse premi un po’ ovunque, non ultimi tre Oscar: scenografia, fotografia e attrice non protagonista per Lila Kedrova.
Autore che corre il rischio di essere associato a un unico grande exploit, in effetti Cacoyannis non si caratterizza per una ricchissima produzione (soltanto una quindicina di titoli in quasi cinquant’anni di attività), ma piuttosto per una solida unità d’ispirazione. Il forte legame con le proprie radici culturali è più che evidente, dal momento che l’autore si mosse sì all’interno di ricche e meno ricche coproduzioni internazionali ma sempre risalenti alle fonti primarie della cultura greca. Oltre a Zorba il greco, si ricorda infatti, e soprattutto, la “trilogia euripidea”: Elettra (1962), Le troiane (1971) e Ifigenia (1977), tre film tratti da tragedie di Euripide che rinnovarono un florido e duraturo sodalizio artistico con Irene Papas. E che, specie nel caso de Le troiane, riuscì a mettere insieme la Papas, Katharine Hepburn e Vanessa Redgrave per un confronto artistico-generazionale da scintille. Certo, Cacoyannis fu pure tacciato di mettere il colore locale a servizio del pubblico popolare occidentale, di trattare cioè la cultura greca, in particolare nel caso di Zorba il greco, come coacervo di luoghi comuni da ammannire alle platee generaliste (in tal senso, basti ricordare che il sirtaki è nato proprio qui, nelle musiche originali di Mikis Theodorakis: la “danza di Zorba” si è trasformata da musica cinematografica in musica etnica con annesso ballo popolare, caso più unico che raro). E fu pure accusato di trattare la tragedia greca con atteggiamento classico, fin troppo riverente e ossequioso, ai limiti della bella impaginazione impersonale. Tuttavia, è pur vero che Cacoyannis ha avuto il coraggio di affrontare di petto in ambiente-cinema i fondamenti della cultura letteraria europea, tentativo audace e ardimentoso raramente ripercorso da altri autori in seguito. Chi avrebbe oggigiorno le spalle abbastanza larghe da gettarsi nella sfida di trasporre Euripide al cinema? C’è spazio nel cinema popolare attuale per affrontare una sfida simile, senza che i campi di battaglia greci si trasformino in schiere di soldatini 3D? In tal senso, Cacoyannis è un alieno rispetto alle strutture del cinema attuale. Cinema assolutamente da recuperare.