Elizabeth Taylor Malata di cuore da tempo, è scomparsa a 79 anni una delle ultime indimenticabili figure di Hollywood
24/03/11 – Una delle ultime vere divine di una Hollywood perduta: così ci piace ricordare Elizabeth Taylor. Forse l’ultima vera divina, che ha vissuto proprio il trapasso storico tra la Hollywood degli studios e l’avvento di una nuova riformulazione degli standard divistici negli anni ’70. In qualche misura, è probabile che tale transizione storica Liz l’abbia anche scontata sulla propria pelle, dal momento che la sua attività cinematografica più rilevante si conclude di fatto ancora in giovane età, attorno ai 40 anni, ovvero sul finire degli anni Sessanta.
La produzione anni Settanta di Elizabeth Taylor è tutta da dimenticare, tra sciattissime commedie, blande produzioni in coppia col due volte marito Richard Burton e strambe incursioni italiane (Identikit di Giuseppe Patroni Griffi, 1974). Dopodiché, quasi il nulla, anzi pure qualche umiliante partecipazione televisiva. Segno che per un’attrice da Hollywood dorata, a cui spesso i film venivano cuciti addosso, non c’era più spazio in un contesto creativo scapigliato com’era la riformattata Hollywood dei vari Coppola, Scorsese, Cimino… Più volte nominata all’Oscar, ne portò a casa due. Per il dimenticabile melodramma Venere in visone (Daniel Mann, 1960) e per la strepitosa performance, in vesti imbruttite e autodistruttive, di Chi ha paura di Virginia Woolf? (Mike Nichols, 1966). Intorno, una larghissima produzione di cinema classico, che annovera opere e prestazioni assai diseguali ma foltissime, a coprire tutti gli anni Cinquanta e Sessanta.
Caso raro di baby-star che riesce a svincolarsi dal divismo infantile (gli esordi da bambina nei successoni popolari Torna a casa Lassie! e Gran Premio) secondo una coerente maturazione artistica, Liz ha dato il meglio di sé, come di norma accade, soprattutto nei grandi incontri autoriali e, sulla scena, nell’incontro/scontro con altre forti personalità attoriali. E di incontri autoriali è tappezzato il suo percorso artistico: Joseph L. Mankiewicz, George Stevens, Richard Brooks, Edward Dmytryk, William Dieterle, Michael Curtiz, Vincente Minnelli, John Huston… Uno degli apici della sua carriera, probabilmente quello destinato all’infinito della memoria collettiva, resta l’incontro con Montgomery Clift e Katharine Hepburn nel leggendario Improvvisamente l’estate scorsa (1959) di Joseph L. Mankiewicz. Vicenda risibile basata su un testo di Tennessee Williams grondante rozza psicologia, che però per le coordinate del tempo passava per audace e quasi “irrappresentabile”. Il gioco tra attori e regia è entusiasmante e la lavorazione del film, tra crisi di nervi e vari alcolismi, è passata alla storia.
Sempre al teatro di Tennessee Williams, Liz deve un’altra indimenticabile incarnazione, la Maggie de La gatta sul tetto che scotta (1958) di Richard Brooks, in coppia con Paul Newman. E fu anche divisa tra Rock Hudson e James Dean nel fluviale Il gigante (1955) di George Stevens. Grandi storie e grandi narrazioni di una Hollywood che non c’è più. Così come non c’è più quel divismo elegante che Elizabeth Taylor, oggi, porta via con sé, nei suoi ingenui occhi viola.