A lato del cinema – fatti e misfatti intorno alla settima arte
Il lato delle recensoni
(Nuova rubrica a cura di Marco Giallonardi)
20/07/09 – Perchè difendo strenuamente i film di Charlie Kaufman anche se non mi fanno impazzire? Cosa succede nella mente dello spettatore-amante del cinema, cos’è questo accanimento, questa coazione a ripetere la visione, a fissarsi sulle cose anche quando non convincono appieno? Sarà forse il solito vecchio inciampo dell’idea preconcetta che non sa farsi da parte di fronte alla realtà , o più probabilmente la fascinazione per qualcosa che non si comprende appieno e che allora si esalta nella sua supposta grandezza? Perchè, a guardare bene, com’è nauseante il cinema di Charlie Kaufman, così intriso di intellettualismo velleitario, così personale e irritante nel suo essere cervellotico e anti-popolare, pompato dalla high culture della East Coast come il lavoro del Nuovo Messia, il pensatore a cui inchinarsi. Se si osserva bene il corpus filmico di CK si nota la ripetizione della stessa forma stilistica (la mise en abyme), il soffermarsi su temi con dinamiche ripetitive (il cervello e i suoi percorsi), l’autoreferenzialità sempre più o meno manifesta (“Adaptation” come espressione somma). E se ne potrebbero dire molte altre di cose, per accontentare i detrattori di CK, i tanti che hanno storto il naso anche e soprattutto di fronte al suo esordio da regista, “Synecdoche, New York”, passato al Festival di Cannes lo scorso anno e ancora in attesa di una distribuzione in terra italiana (BIM se ci sei, batti un colpo!).
Ma ogni tanto è bello spogliarsi del proprio rigore, di un punto di vista che vuole essere oggettivo, quello del critico s’intende, per lasciarsi cullare da suggestioni infantili e stupida partigianeria, amando anche quello che razionalmente si dovrebbe attaccare con motivazioni convincenti. Ecco allora che l’ennesimo lavoro di CK, con tutti i difetti evidenti e le ambizioni eccessive che mostra, è ciò che di più sublime si possa trovare al momento tra i dvd americani acquistabili on-line o tra i file piratati oramai rintracciabili ovunque sulla rete: un delirium abissale sulla caducità della vita, sulla presunzione dell’artista e l’impossibilità di raccontare qualsiasi verità attraverso l’arte. Con tutti, ripeto, tutti i limiti di un discorso enorme, sottolineato troppe volte, attorcigliato in un gioco di specchi e scatole cinesi estenuanti. Ma anche con un messaggio di fondo che ha il sapore delle grande verità .
As the people who adore you stop adoring you
as they died, as they move on
as you shed them,
as you shed your beauty, your youth
as the world forgets you
as you recognize your transience
as you begin to loose your characteristics one by one
as you learn there is no one watching you
and there never was
you think only about drivign.
Not coming from anyplace
not arriving anyplace,
JUST DRIVING,
counting off time..
Ripeti nella tua mente il punto più alto del film, ti tornano in testa note e parole del pezzo che accompagna i titoli di coda. E mentre lo rivedi ne scovi i limiti, affiorano le incongruenze, monta il fastidio ma anche l’instancabile gusto a continuare la visione.
Chi vincerà ?