De André padre, De André politico, De André compagno di palco del figlio Cristiano. Dosando questi diversi elementi la regista Roberta Lena, prima curando la regia teatrale dello spettacolo Storia di un impiegato di Cristiano De Andrè e ora il film DEANDRÉ#DEANDRÉ Storia di un impiegato, riporta al centro l’opera del grande cantautore genovese, grazie alla forza delle parole contenute in quell’album del 1973 (Storia di un impiegato) che Cristiano è tornato a cantare proprio qualche anno fa, in un tour che ha attraversato l’Italia.
Perché Storia di un impiegato? Perché rileggere oggi proprio quell’album di Faber, scritto con Giuseppe Bentivoglio e Nicola Piovani? Perché le parole contenute in quei testi sono fortemente attuali oggi e vicine agli ultimi del mondo ai quali Fabrizio voleva rivolgersi e ai quali Cristiano pensa oggi: “Ci stiamo affezionando al potere, al sopruso e vorrei predicare, con questo film, la fine del rancore che purtroppo sta condizionando le nostre vite, negativamente. Si respira nuovamente un vento di odio e c’è poco rispetto per i diversi, quelli senza voce di cui cantava mio padre” precisa in conferenza stampa alla 78 esima Mostra d’arte cinematografica di Venezia, dove il film è stato presentato come evento speciale nella sezione Fuori Concorso, prima dell’uscita nelle sale il 25, 26, 27 ottobre.
“Un io che deve diventare noi”.
Location del film la villa di Portobello, in Sardegna dove vive Cristiano (che oggi ha la stessa età del padre quando morì) e dove da bambino ebbe la fortuna di conoscere e passare del tempo con gli amici del padre (Tognazzi, Villaggio, Piovani, Bentivoglio, solo per citarne alcuni ) che nella sala di casa creavano insieme, di confrontavano. “Era importante entrare nel luogo segreto dov’è stato scritto l’album, il luogo calpestato dalle miglior menti di una generazione, il luogo dove il confronto era alto” precisa la regista che ricorda come l’album sia fatto di “parole che mettevano in scena, con la poesia e con la giusta riflessione, quello che può essere un conflitto sociale, il bisogno della società di rigenerarsi con istanze che arrivano dal basso”.
Ma il film non è solo la riproduzione del concerto live di Cristiano De Andrè (dove le canzoni sono state nuovamente arrangiate da Cristiano e Stefano Melone giocando con il rock, la musica popolare e l’elettronica) ma è un racconto in prima persona del figlio che più assomiglia, anche fisicamente, a Faber e che visse il trauma della separazione dei genitori, che si allontanò per un periodo dall’amato padre per poi ritrovarlo in età più adulta, quando lo accompagnò in concorso (dopo aver frequentato il conservatorio Paganini di Genova). Ed è, terzo aspetto molto affascinante dell’opera, un lavoro di montaggio dove alle canzoni, alle parole di Faber e di Cristiano, viene associato un sottotesto di immagini del ’68 francese, del ’67 italiano, dei fatti del G8 di Genova e, nel finale, quelle di oggi di chi – ora come allora – ha bisogno di ascolto.
Un film per “smuovere le coscienze perché il dolore degli altri non resti sempre un dolore a metà” chiosa Cristiano.
Nella nostra intervista la regista Roberta Lena ci racconta come ha dosato i registri del film e come ha scelto di raccontare – attraverso alcuni episodi – il rapporto tra padre e figlio, perché diventasse una storia di conflitto e di riconciliazione dove in molti possano riconoscersi.
giovanna barreca