A lato del cinema – fatti e misfatti intorno alla settima arte
Il lato dei festival
(Nuova rubrica a cura di Marco Giallonardi)
06/07/09 – Un noto critico e organizzatore di eventi è mio amico su Facebook. Non ci siamo mai visti prima, lui mi ha chiesto l’amicizia e io lusingato ho accettato. Come ha argutamente chiosato lui, sembra di incontrarsi in casa d’altri, e un po’ ha ragione.
Un paio di mesi fa, quando esordiva il Festival di Cannes, il mio amico ironizzava un po’ lugubre su un aspetto secondario dei festival, troppo spesso nascosto dalla patina delle riviste e dall’arrivo delle star. Parlava delle attese estenuanti in fila, come stare alle poste per dieci giorni di seguito, brutalizzati da un rigore organizzativo che serve a far funzionare le cose ma che svilisce e stordisce, che trasforma il piacere di entrare in sala nel dovere di assolvere un compito oneroso. Un rigore che crea gerarchie, aggiungerei io, affidando priorità colorate e suddividendo gli accreditati come se fossero al pronto soccorso: ci sono i press, divisi tra quotidianisti e media, cioè tra chi dopo il film deve correre a scriverne e chi scrivendo su internet ha tutto il tempo, a volte pure troppo, per ragionare e diventare prolisso; ci sono gli industry, un fiume di gente che lavora nelle società del settore, spesso amici di amici che all’italiana si sono procurati l’accredito inventandosi chissà quale incarico; e poi ci sono i culturali, studenti universitari e membri di associazioni, i più bistrattati di tutti, che una volta su due non riescono neanche ad entrare in sala, pur avendo aspettato in fila per un’ora. Mi ha sempre colpito questo aspetto surreale dei grandi festival, ed altri ancora su cui sarebbe bello prodigarsi in riflessioni. Ne cito qualcuno distrattamente: i cibi precotti e mangiati in fretta, acquistati in vaschette costose nei chioschi esterni alle sale o consumati in solitudine seduti ai tavoli di plastica sotto gazebo infuocati; le amicizie improvvisate con sconosciuti incontrati in fila, nate per sbaglio da un giudizio su un film o per colpa di un’affermazione sparata a voce troppo alta; le sale che al terzo giorno diventano dormitori, in cui da una parte senti russare e dall’altra ci si sdraia spaparanzandosi con le gambe sulla poltrona avanti; i pass, i controlli fintamente seriosi, i vip lampadati che nessuno sa chi siano e le ragazzine pronte a saltargli addosso per principio, il cotè glamour inseguito come una chimera e costruito ad arte solo per chi sta dall’altra parte dello schermo.
C’è una macchina organizzativa ingombrante, a volte impossibile da spostare, altre volte oliata ad hoc, alle spalle di ogni festival. E serve all’occorrenza per far funzionare ogni cosa, anche se poi le italiote critiche si alzano prima e durante e dopo come venti gelidi in cima alla montagna. Ma senza fare psicanalisi bassa, è inevitabile che accada: il cervello si scinde, alcune cose scompaiono alla vista mentre il corpo si prodiga nell’andare avanti, nel portare a termine la missione, nello scavalcare i corpi di chi cade disorientato sotto i colpi delle stramberie di cui si macchia ogni grande (e piccolo) Festival di Cinema nel Pianeta. Dietro e a lato accadono cose meravigliose, impensabili e divertenti. E’ un po’ questo lo spirito con cui nasce la piccola rubrica che state leggendo, con l’intenzione di raccontare verità secondarie, aneddoti bizzarri, eventi poco noti e scorciatoie interessanti. In poche righe, con qualche esempio che produca immagini e riflessioni. Per cercare di scandagliare quello che a occhio nudo, o a mente lucida e razionale, a volte è difficile vedere.