Fin dalle 14 di ieri il Ca’ Foscari Short Film Festival è entrato nel vivo della sua ricca programmazione. Dopo i saluti di rito, sono iniziate le proiezioni: prima dei lavori del concorso Veneto con tutti i registi/attori protagonisti presenti e poi del concorso internazionale con i lavori di diploma di studenti provenienti da 14 paesi diversi. Tra i cortometraggi realizzati dai liceali veneti (singoli studenti o intere classi) è stato interessante notare come gli argomenti trattati fossero differenti: da Segreto d’amore (il lavoro meno riuscito) di Ambra Furlan che affronta il tema dell’Aids tra giovani, a Gli uomini libro di Alessandro Padovani che, attraverso la storia di un gruppo di ragazzi rifugiatisi nei boschi per proteggere i libri, ha omaggiato Fahrenheit 451 di Ray Bradbury e lanciato un monito al nostro Paese che della cultura non si occupa. A seguire i più scanzonati Ci vediamo a Venezia, musical sull’importanza dell’amicizia con un’attrice/interprete dei brani cantati e ballati tra le calli (davvero molto in parte con la sua solarità) e Venice to live, video-interviste ai veneziani tra malumori per i turisti invadenti e studenti che hanno trovato un luogo ricco di socialità e di cultura dove completare il loro percorso accademico.
Già l’anno scorso avevamo apprezzato il lavoro della scuola di cinema francese di La Fresnoy e sicuramente dei sei lavori proiettati oggi (i corti in concorso sono 30), per cura nella messa in scena e scelta della tematica, il corto Jeanne di Dania Reymond, è il migliore. Al centro della narrazione il travaglio di una giovane donna che viene portata in un ospedale perché sente delle voci che le dicono che gesti compiere, che l’hanno spinta a scagliarsi contro dei pompieri e ad essere arrestata. Voci che, secondo la giovane, vengono da Dio. Voci che la consolavano ogni giorno. La fanciulla si chiama Jeanne, o, come la chiamano i suoi angeli: “Pulzella, figlia di Dio”. Il viso etereo dai grandi occhi azzurri e labbra rosee si scaglia per quasi tutto il film sullo sfondo bianco delle asettiche stanze dell’ospedale. Solo quando si siede accanto ad un altro internato, dietro di loro viene posta una grande parete colorata: un bagliore di speranza? Al termine, com’era abbastanza intuibile dalle battute pronunciate, ci viene rivelato che la sceneggiatura è stata basata sulle lettere del processo di condanna di Giovanna d’Arco. Ma è chiaro che il disagio raccontato è reale oggi, dove sentirsi adeguati è difficile e spesso estraniarsi e cercare rifugio altrove sembra l’unica strada percorribile. Legato al tema dell’identità Mee di Letty Felgendreher che, attraverso l’animazione digitale racconta la spensieratezza di una bambina coreana che, nonostante sia stata adottata e viva in Germania, non sente l’esigenza di confrontarsi con i suoi genitori biologici per capire chi sia e cosa stia diventando come donna. Anche perché, come dice Mee: “Casa è dove trovi le persone che ami”. Nota aggiunta di una storia ben strutturata, la colonna sonora che mescola dolcezza e gusto per la tradizione. Fotografia poco curata e spesso un uso poco attento della macchina da presa in Dolly di Ketan Rana, della scuola indiana Whistling Woods International dove un filo rosso, messo realmente in scena con un gomitolo di lana, simboleggia il legame tra Ramaliking e Singh, due uomini di classi sociali completamente diverse: è Dolly, una donna che entrambi amano e che condannerà entrambi con il suo sangue infetto dal virus dell’hiv. Il corto israeliano di Heedye David Koren dal titolo enigmatico, The Apple’s Fault, affronta la storia vera della musa di uno scrittore (Noa, morta nel 2006 a soli 21 anni) che per aiutare il suo amore Haiti a ritornare a comporre, arriverà a gesti estremi. Una storia drammatica, un’indagine sulla possessione e l’arte sottolineata dal suono dei tasti che battono violentemente sulla tastiera di una macchina da scrivere – spesso invisibile allo spettatore – dopo ogni ‘sacrificio’ d’amore. Solo uno il corto italiano presentato in questa prima giornata: The Ordinary Job di Erika Monte, Elisabetta Masiero, Eleonora Remigi, Silvia Galasso, Sara Menegazzi, Salvatore Comito, gruppo di studenti del Comics di Padova. Ogni regista ha sviluppato un suo episodio della vita di uno strano postino che vive a Movie City e consegna la corrispondenza ai protagonisti del film più amati: dalle creature di Jurassic Park alla protagonista di Psycho (esilarante l’animazione legata alla scena celebre del film con la doccia dove questa volta compare anche una paperella e la tenda che si apre mostra il postino che non vuole accoltellare la donna ma consegnarle una multa), agli astronauti di Armageddon, alla Rossella O’Hara di Via col vento. Fino a quando la giornata del postino termina, volando in cielo accanto a E.T. nella celebre sequenza. Ottimo il tratteggio dei disegno e la capacità di trovare un ritmo comune nella narrazione.
Poi in serata Oscar Iarussi nel suo workshop Visioni americane affronta il tema della decostruzione visiva, partendo dall’immagine dell’America dell’11 settembre per poi mostrare gli ultimi otto minuti de La 25esima ora di Spike Lee. A seguire il professor Montanaro del comitato scientifico, inizia la serie di incontri di Parigi, calamita di sperimentazione offrendo un momento di altissima emozione quando mostra Il diario di Glumov, il primo film corto di Sergej Ėjzenštejn (circa 5 minuti). Al centro di una storia dove manca un filo narrativo, la presentazione di tutti gli interpreti della pièce Anche il più furbo ci può cascare di Aleksandr Ostrovskij. Ovviamente tutto in stile surreale tra voli acrobatici e pantomine chapliniane.
In chiusura l’omaggio a Makoto Shinkai, considerato da molti l’erede di Miyazaki e autore in grado di unire, nella stessa opera, temi del mondo reale con la fantascienza pura. Abbiamo ammirato i primi tre episodi di un lavoro che praticamente ha concepito e realizzato da solo sia nella parte di scrittura che in quella di grafica: Il giardino delle parole e, a seguire, per espressa volontà dell’autore anche il trailer, in anteprima, del suo prossimo film inedito in Europa: Dareka no manazashi (Someone’s Gaze).