Insieme al cinema, dal dopoguerra in poi rinasceva in Italia anche la musica per film. In quegli anni era infatti in corso un progressivo avvicinamento della musica cinematografica verso una propria dimensione espressiva, non più mero commento alle immagini, ma reale attore (perdonateci il gioco di parole) delle strategie linguistiche del mezzo. Così vedevano la luce le maestose composizioni melodrammatiche del Maestro Cicognini per il neorealismo lacrimoso di De Sica; così, anche, iniziava a fare capolino nel nostro cinema il jazz, visto con diffidenza negli anni di regime fascista in quanto produzione non autoctona. Americana, addirittura. Armando Trovajoli, scomparso nei giorni scorsi a 95 anni, in tal senso è un’istituzione. Insieme a Piero Piccioni, con cui collaborò a lungo, ha portato nuove sonorità nel nostro cinema, ricercando inedite espressioni musicali per i generi riformati di casa nostra. Nuova musica per un nuovo cinema. A differenza del Maestro Morricone, di cui si potrebbero fischiettare almeno dieci colonne sonore a memoria, di Trovajoli è difficile trovare il motivo scritto per il cinema che ti rimane in testa. Si tratta infatti di due produzioni diametralmente opposte: tanto orchestrale e monumentale Morricone, la cui musica talvolta finisce per parlare al posto del film, quanto sottile e discreto Trovajoli, che quasi sempre ha prodotto sonorità perfettamente diluite nel fluire delle immagini, secondo un principio di stretta collaborazione audio-video. Qualcosa in più di un commento, qualcosa in meno del didascalismo.
Il jazz, del resto, si presta per sua natura a funzionalità di questo genere; fatto di infinite variazioni più o meno libere, resta impalpabile, irriproducibile e mai invadente rispetto alle immagini a cui si sposa. Non è un caso se Trovajoli è stato autore delle musiche di tante commedie all’italiana anni ’50 e ’60; quella commedia riformata, cinica e moderna, specchio di una nuova società, chiamava a sé la scaltra spregiudicatezza di un jazz libero e tagliente. Tra le tante composizioni di Trovajoli che ben si prestarono a questa funzione, ci piace ricordare le sonorità ciniche e sornione per Il vedovo (1959) di Dino Risi, una delle commedie migliori tra quelle tagliate addosso ad Alberto Sordi. Le sue collaborazioni più costanti si sono instaurate con Vittorio De Sica ed Ettore Scola; di quest’ultimo ha praticamente musicato tutta la filmografia. La sua vita si è intrecciata con il cinema anche nel privato, poiché sua prima moglie fu la sfortunata Anna Maria Pierangeli, prototipo dell’attrice europea divorata dal sistema-Hollywood. Ma in mezzo a tutto questo, a composizioni jazzistiche o più convenzionali scritte per il cinema, forse per la storia del costume Trovajoli resterà legato per sempre a “El Negro Zumbon”, composta per Anna (1952) di Alberto Lattuada. In quel caso, la musica di Trovajoli si sposò al rinato divismo di casa nostra, consegnando Silvana Mangano e il suo balletto alla storia del nostro cinema. Tanto che, quarant’anni dopo, pure Nanni Moretti cedette all’irresistibile richiamo del mambo di Trovajoli, e danzò.