Alla fine una decisione è arrivata e non poteva essere più sorprendente. Paolo Virzì è il nuovo direttore del Torino Film Festival. Succede a Gianni Amelio che ha guidato Torino per quattro anni. Lo ha stabilito l’Assemblea dei soci fondatori del Museo Nazionale del Cinema, continuando così una strada intrapresa sei anni fa con la nomina di Nanni Moretti: proporre dei registi alla guida di un festival. Una tradizione, recente e non praticata da nessun altro festival, su cui si è voluto insistere a tutti i costi, nonostante fosse caduta l’ipotesi precedente – e accreditata ormai da diverso tempo – relativa al nome di Gabriele Salvatores. Se l’ “intransigenza” cinefila di Moretti poteva adattarsi alle dinamiche di un festival di ricerca come quello di Torino (e si era effettivamente adattata), se la gestione Amelio aveva alla fine portato a dei buoni risultati grazie alla duttilità e alla buona gestione delle dinamiche festivaliere di un cineasta vecchio stampo come Amelio, se persino l’ipotesi Salvatores poteva avere qualche credenziale (quantomeno a giudicare dalla sua esperienza cinematografica, spesso volta a dimensioni non semplicemente italiane), si fatica a capire cosa possa avere a che fare il nome di un regista – sia pur valido, assolutamente – come Virzì con il festival di Torino. Un regista che – finora – non ha mai mostrato particolare interesse verso la cinefilia o verso le questioni di politica culturale o verso le dinamiche internazionali del cinema, cose che formano l’idea stessa di un direttore di festival.
In ogni caso, Virzì è atteso da una sfida di non poco conto, chiamato sopratttutto a confermare la tendenza positiva del festival, che nell’ultima edizione ha registrato un aumento sia di pubblico sia di accreditati.