Placido Rizzotto di Pasquale Scimeca del 2000 fu il primo film sulla mafia girato da un regista siciliano e con quell’opera, come ricordava il critico Fabrizio Colamartino in un suo saggio sul film: “Scimeca inizia a dedicarsi alla storia della Sicilia, ispirandosi a vicende realmente accadute, attraverso una sapiente commistione di ricerca storico-antropologica e narrazione scandita sulla falsariga di racconti di cantastorie e di grandi scrittori”. Nel film gli echi della storia siciliana, dal ventennio fascista all’eccidio di Portella della Ginestra che anche il suo maestro/padre putativo Francesco Rosi – accolto proprio quest’anno in Laguna per ricevere il Leone d’oro alla carriera – aveva ricostruito in Salvatore Giuliano, alla morte delle decine di uomini dello Stato assassinati. Sono passati 12 anni e Pasquale Scimeca non ha smesso di occuparsi di mafia, del racconto del reale attraverso un cinema civile utilizzando spesso testi letterari fondativi (Malavoglia e Rosso Malpelo), con la volontà di raccontare il nostro paese, la Sicilia, attraverso un cinema d’impegno vero.
In Convitto Falcone presentato come Evento speciale alla 69esima Mostra internazionale del cinema di Venezia però non analizza il fenomeno mafioso; va oltre pur continuando a narrare di eroi. Qui lo è il professor Carella che lavora al Convitto e vuole insegnare l’italiano, la matematica e tutte le altre materie ai ragazzi ma soprattutto vuole fortemente che diventino uomini corretti e onesti. Con la Fondazione Giovanni e Francesca Falcone e Libera, partendo dal libro di Giuseppe Cadilli e lavorando alla sceneggiatura con Francesco La Licata (giornalista Rai e autore della biografia sul magistrato ucciso a Capaci), Scimeca commemora in maniera non sterile la memoria di Falcone, della sua scorta e di tutti gli uomini dello stato uccisi venti e tren’anni fa: Pio la Torre e Alberto Dalla Chiesa uccisi nel 1982 in due agguati per ordine di Totò Riina, Giovanni Falcone e la sua scorta uccisi il 23 maggio 1992 e il 19 luglio Paolo Borsellino. Scimeca realizza un’opera per immagini perché crede nel forte potere educativo del cinema e spera fortemente che attraverso l’educazione alla legalità che deve partire dalle scuole, le cose si potranno davvero cambiare nella Povera Patria delle note di Franco Battiato che aprono e concludono il cortometraggio.
La struttura narrativa è divisa in due parti che si fondono: la prima, modulata sulle cadenze tipiche del racconto ci presenta il piccolo Antonio – 11 anni – che, vinta una borsa di studio, abbandona le Madonie e può andare a studiare al convitto Giovanni Falcone di Palermo dove ha problemi ad adattarsi e sfoga la sua rabbia commettendo qualcosa di stupido. La seconda mostra le immagini di repertorio della strage di Capaci, dei funerali che sconvolsero l’intero paese perché attraverso di esse il professore Carella potrà spiegare al ragazzino come sia sbagliato commettere azioni illegali invece di trarre esempio dagli uomini di giustizia che per tener fede ai loro principi hanno perso la vita. Tra la seconda che serve da monito e la prima che – attraverso un piccolo esempio (una partita di calcio truccata) – ci racconta come il margine tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato sia spesso sottilissimo, si colloca la storia di formazione di Antonio e la Palermo dei Palazzi, il ricordo di una società che va ricostruita non dimenticando la storia.
Il film, come già per Rosso Malpelo, andrà oltre l’opera cinematografica. Porterà infatti un aiuto materiale concreto a chi deve conoscere i valori della legalità per sognare il cambiamento: con i proventi raccolti dal tour che il cortometraggio farà nelle scuole, verranno aiutati i ragazzi di strada dell’Ecuador attraverso il progetto dei Padri Giuseppini di Murialdo: Sonando por el cambio che da anni operano per riabilitare e inserire in attività socio-lavorative i bambini. Per info: www.engiminternazionale.org.