Gore Vidal è stato un punto di riferimento culturale, giornalistico, anche politico. In ambito cinematografico spesso è stato invece l’autore dei “grandi fallimenti”, attivo con parsimonia come sceneggiatore e, più raramente, in curiosi cameo. Fin dal suo esordio nel mondo della letteratura, Vidal fu sincerità e provocazione, ovvero due facce della stessa medaglia che spesso faticano a coincidere. Senz’altro i primi romanzi, soprattutto La statua di sale (1948), furono un’esplosione di onestà intellettuale nella rinascente America puritana e ipocrita, appena uscita dalla Seconda Guerra Mondiale (a cui Vidal partecipò) e già pronta a ricostruire i propri muri e steccati ideologici, a spese anche della “trasparenza sessuale”. La statua di sale affrontò di petto il tema dell’omosessualità, il principe delle rimozioni collettive occidentali del tempo, e suscitò un polverone. Un altro caposaldo, che ebbe risonanza epocale, fu Myra Breckinridge (1968), romanzo fondato su una dissacrante allegoria socio-culturale e sviluppato intorno a un protagonista transessuale. Una satira corrosiva sugli Stati Uniti e anche un esempio del reiterato rapporto di Vidal col cinema, dal momento che il suo romanzo vide una trasposizione in Il caso Myra Breckinridge (1970) di Michael Sarne, film-cult (o scult a seconda dei gusti) d’ispirazione sfrenatamente camp, con divertita protagonista un’insospettabile Raquel Welch e una partecipazione straordinaria della mitica Mae West, icona omosessuale ormai avanti con gli anni. Il film fu un flop clamoroso, stroncato in massa dalla critica e dallo stesso Vidal.
Ma in effetti il rapporto di Vidal col cinema fu accidentato fin dai suoi esordi, quando fu assunto alla MGM come sceneggiatore. Dopo aver già partecipato a script per film TV, Vidal fu infatti chiamato per la riscrittura di Ben-Hur (1959) di William Wyler, che stava ponendo seri problemi di sceneggiatura ai suoi produttori. Vidal prese parte alle varie stesure, ma poi si vide negato il proprio nome nei credits, poiché probabilmente i riflessi omosessuali nel rapporto di amore/odio tra Ben-Hur e Messala, evocati dallo stesso Vidal nel copione del film, avevano irritato i piani alti della MGM. L’autore tornò saltuariamente alla sceneggiatura, prima onorando il contratto con la MGM per il delizioso Pranzo di nozze (1956) di Richard Brooks, poi dedicandosi al fumettone, invecchiatissimo oggi quanto audace per la sua epoca, Improvvisamente l’estate scorsa (1959) di Joseph L. Mankiewicz, col mitico trio Taylor/Clift/Hepburn, testo teatrale di Tennessee Williams riscritto per lo schermo in mezzo a decine di diktat della censura (il protagonista omosessuale dovette essere sempre ripreso di spalle e senza dialoghi che ne facessero udire la voce), e proprio per questo il film acquisì tinte foschissime e morbose. Probabilmente fu l’incontro migliore tra Gore Vidal e il cinema. In seguito si accumularono fallimenti uno dopo l’altro. Basti su tutti il Caligola (1979) prodotto da Bob Guccione, padrone della rivista hot “Penthouse”, le cui riprese furono effettuate da Tinto Brass che però poi si rifiutò di firmarne il montaggio, così come Vidal rimosse il proprio nome dagli accreditati in sede di sceneggiatura. Film incompiuto per antonomasia, rimasticato e rimontato infinite volte per trarne solo un pasticcio porno-filosofico. E poi Parigi brucia? (1966) di René Clément, Il Siciliano (1987) di Michael Cimino, ennesimo script privo del nome di Vidal nei titoli di testa, Dimenticare Palermo (1990) di Francesco Rosi: grandiosi fallimenti artistici, tra kolossal e approssimazioni storico-geografiche.