Mentre davanti all’ingresso della Casa del Cinema i dipendenti di Cinecittà manifestavano contro la temuta riorganizzazione aziendale vista come una sorta di smantellamento (e continua l’occupazione iniziata il 4 luglio), all’interno dello stabile Luigi Abete, il presidente di Cinecittà Studios, ha incontrato la stampa per provare a rassicurarla sul futuro degli stabilimenti nati nel 1937. Da un lato l’assicurazione che Cinecittà non chiuderà, dall’altro la promessa di un piano di riqualificazione – già presentato il 25 novembre 2010 – che non intaccherà i teatri di posa già attivi di Cinecittà, ma che andrà a investire aree limitrofe e attualmente abbandonate dove costruire un nuovo grande spazio – grande quanto il celebre Studio 5 -, un albergo per ospitare le maestranze delle produzioni e, infine, un distretto multimediale. Questo perché il vero obiettivo è quello di attrarre grandi co-produzioni internazionali e, in tal senso, si prenderà a modello il caso di To Rome With Love, dove Cinecittà Studios è intervenuta anche come produttore esecutivo, permettendo così alla produzione del film diretto da Woody Allen di avere un rientro economico immediato con il tax credit.
Resta però il fatto che, in attesa dei lavori di ampliamento di cui non è stata fornita una data d’inizio, a oggi Cinecittà Studios ha un esubero di 50/52 dipendenti che dovranno essere dirottati probabilmente a Castel Romano dove contribuiranno alla costruzione del parco a tema sul cinema e dove potranno ricevere commissioni anche da società impegnate in altri settori. I 50 lavoratori, di cui 30 dal reparto scenografie e 20 occupati in servizi, diventeranno dipendenti di una nuova società, Cinecittà Allestimenti e Tematizzazioni (CAT), sempre legata a Cinecittà Studios. Ed è questo punto che non è accettato dai sindacati e da buona parte dei lavoratori che, pur salvando il posto di lavoro, si vedono togliere la loro specifica competenza in campo cinematografico.
I dubbi di fronte alle parole e alle proposte di Abete sono diversi e, oltre all’episodio scatenante di una trattativa con sindacati e lavoratori che è arrivata al muro contro muro (e che a questo punto rischia di portare al licenziamento di quei 50 dipendenti, stando a quanto ha detto Abete), sono diversi i problemi che sembrano profilarsi in prospettiva. Fatto salvo il punto che Cinecittà non chiude, non si riesce a capire però come potrà rilanciarsi se intanto è costretta a dirottare il personale. Di fronte vi sono varie situazioni problematiche: la TV che prima garantiva dei rientri economici si sposta sempre di più nell’Est Europa per mettere in piedi produzioni a un costo più basso; venuta meno la TV, non vi è stata una risposta adeguata da parte del nostro cinema che a parte i soliti nomi (Verdone, Moretti, Avati) non gira a Cinecittà per endemici problemi di budget. Quindi, ecco la soluzione intravista da Abete: le produzioni internazionali. Il problema di questa proposta è che rischia di continuare ad essere episodica: oltre al caso ormai storico di Scorsese (Gangs of New York, 2002), chi altri penserà di fare un To Rome With Love, dove cioè la necessità di girare a Roma viene dal soggetto stesso e non da una complessiva offerta ritenuta all’avanguardia?
Chiaramente Cinecittà Studios paga la debolezza di tutto il nostro settore cinematografico, attualmente in piena crisi, e – nel particolare – paga anche la debolezza di Roma come centro cinematografico del paese, un ruolo sempre più in discussione negli ultimi anni. Le risposte ad ora non vi sono e probabilmente, per quanto si possa fare nell’ottica di un miglioramento complessivo dell’offerta di Cinecittà per renderla più competitiva, non spetta nemmeno ad Abete trovare delle soluzioni.
Dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali dovrebbe forse arrivare un segnale che, partendo dal futuro degli studios romani, proponga un rilancio per tutto il settore cinema.