I giorni della vendemmia è a giugno al cinema Mexico di Milano, al Fratelli Marx di Torino, al Greenwich di Roma, all’Edera di Treviso solo per citare alcune sale storiche e importanti d’Italia che hanno voluto puntare su un piccolo film curato e protetto dalla produttrice Simona Malagoli di Ierà: una pre-produzione lunga quasi un anno con l’impiego di importanti colonne come Alessio Valori alla fotografia e Roberto Rabitti alle musiche. Diretto da Marco Righi – alla sua opera prima dopo due cortometraggi e il documentario Abbasso il Duce sulla lotta partigiana – il film è frutto di un gruppo di giovani (la media della troupe era di 25 anni) davvero talentuosi che insieme hanno creduto nella piccola storia scritta dallo stesso Righi.
A differenza di molti suoi coetanei, l’autore nato a Reggio Emilia, non ha puntato su una vicenda autobiografica per il suo primo lungometraggio ma ha creato una storia per raccontare la sua terra, l’Emilia Romagna, ricca di storia e fucina da sempre dei fermenti politici e sociali dell’Italia. Nel 1984, periodo di ambientazione del film, era la terra rossa che piangeva la morte di Enrico Berlinguer, che doveva capire come gestire l’avanzata craxiana e come trovare una sua identità dopo la morte di un leader storico così carismatico e insostituibile.Righi prende quella pagina di storia e la lascia marciare in parallelo col raccondo di Elia, di un giovane poco interessato alla politica ma in piena rivoluzione nell’esplosione adolescenziale, anch’egli in cerca della sua identità tutta da creare anche grazie alle letture dei libri di Vittorio Tondelli, veri e propri manifesti per diverse generazioni. Quando Emilia, una bella ragazza di città, lontana parente di amici, raggiunge la famiglia di Elia per la vendemmia, le pulsioni hanno la meglio sul ragazzo che inizia a invaghirsi della giovane. I giorni di un’estate calda e inebriante fanno il resto.
La macchina da presa si costringe alla fissità per tutta la prima parte del racconto, facendo seguire allo spettatore una precisa serie di azioni: il lavoro meticoloso e preciso nella vendemmia, la madre di Elia tanto credente da organizzare delle veglie di preghiera in casa, il padre che legge l’Unità sotto il tavolo e nel buio della sua sala da pranzo riguarda le immagini di Berlinguer senza trovare pace, Elia che cerca di prendere coscienza del suo corpo e l’arrivo della bella Emilia. Nella seconda metà del film invece le pulsioni del ragazzo, le sue gioie e dolori profondi sono raccontati con una macchina a mano che pedina il giovane, che rende l’atmosfera concitata intorno ai vigneti, come nella casa dove arriva anche il fratello maggiore, omosessuale, che da quella realtà è fuggito. Così come cambiano i colori e il ritmo di un racconto che procede lento per seguire i tempi naturali della campagna.
Un lungometraggio quasi tutto di esterni che percepiamo spesso come interni claustrofobici di una vita chiusa in determinate regole e convinzioni politiche e religiose. Allo stesso tempo quelli sono gli spazi del racconto per Elia che da quella realtà non vuole fuggire come ha fatto il “figliol prodigo” (la madre legge parte della parabola evangelica). Una realtà che, come vedremo nel finale, può essere accettata anche col sorriso e può non essere così irrimediabilmente solcata dalla sofferenza ma esattamente come per l’uva va trattata con cura e staccata al momento giusto. Elia capirà davvero le parole di Tondelli: “Perchè anche tu non sapevi e ritrovarsi la vita improvvisamente tra le mani, quando si è ancora così giovani, è terribile”.
I tre ruoli, i due fratelli e la ragazza sono il motore di un film che riesce ad essere corale – nel racconto di un paese emiliano e quindi dell’Italia del 1984 – e individuale allo stesso tempo quando lascia che le pulsioni degli uomini siano metaforicamente raccontate anche attraverso la terra, la vite, il raccolto. Attraverso I giorni della vendemmia ci siamo appassionati a una storia che ci appartiene e abbiamo scoperto un buon autore coraggioso e talentuoso.
GIOVANNA BARRECA