Flussi seriali – Percorsi e influenze odierne e vintage delle serie americane a cura di Erminio Fischetti
Sheldon Cooper è un fisico teorico con QI altissimo di 187, ha conseguito il dottorato a soli sedici anni, ha problemi ossessivo compulsivi ed è sociopatico, il suo coinquilino Leonard Hofstadter (QI 173) è un fisico sperimentale, che sopporta con pazienza le malversazioni di Sheldon, è timido e odia essere considerato un nerd. I loro migliori amici sono Howard Wolowitz, un ingegnere aerospaziale, che vive ancora con sua madre, Rajesh Koothrappali, un astrofisico proveniente da una ricca famiglia di Nuova Delhi, che soffre di un mutismo selettivo molto particolare: non riesce a parlare con le donne, problema che supera invece quando fa uso di alcol. A rivoluzionare il loro ménage quotidiano, fatto di fumetti, film e telefilm di fantascienza, ci pensa Penny, la bella e nuova vicina di casa, una ragazza del Nebraska senza troppi peli sulla lingua con velleità di attrice che però sbarca il lunario come cameriera, ha stentatamente finito il liceo ed è banalmente appassionata di abiti e scarpe. Ennesima rivisitazione della sit-com che ha per protagonisti un gruppo di amici, che vivono nello stesso pianerottolo. Il richiamo a Friends è molto forte, ma l’originalità di The Big Bang Theory (creata da Chuck Lorre e Bill Prady per la CBS, in onda in Italia prima su Steel e poi, dal 2010 su Italia1) è tutta giocata sulla costruzione dei caratteri nerd dei personaggi e sullo scontro fra questi, davvero di tutte le misure, e la giovane e procace vicina poco propensa a comprendere i loro riferimenti e le loro battute intelligenti.
Una serie corale, molto ben riuscita nelle interazioni fra i vari protagonisti, che trova nella raffigurazione di Sheldon Cooper il suo punto di forza; attorno a lui si costruiscono gag divertentissime sulle sue manie e atti compulsivi, che lasciano riflettere più in generale su una fetta importante di popolazione che non segue le mode ed è proprio lontana da qualsiasi canone sociale convenzionale. Un personaggio incapace di vivere all’interno del mondo odierno, che non sa guidare o provvedere a se stesso, asessuato, ma capace di mettere alla berlina con la sua lingua tagliente qualsiasi regola autodefinita della quotidianità. L’innovazione narrativa è che questi personaggi sono davvero lontani dai canoni delle storie di ragazzi comuni, ragazzi come tanti, sviluppati nella serialità in particolare degli anni Novanta, quelle sui twenty-something, come appunto il già citato Friends, Melrose Place, etc. e che oggi sembra essere tornata di moda, come E alla fine arriva mamma!, Entourage o la recente New Girl. Sheldon, Leonard, Raj e Howard (che hanno tutti in comune delle figure materne castranti) sono diversi dagli altri, sono sfigati, troppo intelligenti eppure per certi versi anche troppo stupidi, tanto da non riuscire a capire certi meccanismi che invece il personaggio di Penny coglie al volo pur non avendo un QI di 187. Quello di The Big Bang Theory è un gioco al massacro sociale e un po’ in questo si avvicina a Dharma & Greg, serie del 1997, sempre creata da Chuck Lorre, sviluppata su un altro contrasto sociale, quello di una giovane coppia di sposi appartenenti a due standard famigliari diversi, quella di lei composta da due genitori hippy di mezza età e quella di lui ricchi e snob alto-borghesi repubblicani. Lì i consuoceri facevano scintille.
La cosa interessante è che in The Big Bang Theory gli stereotipi sui nerd e sulla bella ragazza ci sono tutti, ma sono talmente ben costruiti attraverso dialoghi fulminanti, autoironia, citazioni e quant’altro che ci si deve arrendere di fronte alla consapevolezza di un prodotto di consumo assolutamente perfetto e con un cast (Jim Parsons e Johnny Galecki su tutti) che dà grande voce a protagonisti dal piglio esasperato; ma in fondo non risiede proprio in questo il compito della comicità? La domanda da un milione di dollari però è se alla fine di tanti lascia e prendi il nostro sfigato, orbo e timido Leonard riuscirà a conquistare la bella Penny. Da vedere rigorosamente in lingua originale.