Dal nostro inviato Raffaele Meale
Con l’approssimarsi degli ultimi film presentati nel concorso ufficiale, acquista legittimità una lettura critica della 62esima edizione della Berlinale. Tra i film in corsa per la conquista dell’Orso d’Oro pochi sono stati i titoli in grado di risvegliare un certo entusiasmo nel popolo dei cinefili: se si escludono Tabu di Miguel Gomes, L’enfant d’en haut di Ursula Meier e Cesare deve morire dei fratelli Taviani, il resto dei concorrenti ha deluso, chi più chi meno, le aspettative. Colpa di un approccio alla regia spesso troppo calcolatore, insincero, spudoratamente adagiato su pratiche di cinema già ammirate in ben altri talenti artistici. Rientra alla perfezione in questa categoria anche Just the Wind dell’ungherese Benedek Fliegauf, già autore cinque anni fa dell’affascinante ma in fin dei conti sterile Milky Way, con il quale sedusse la platea del Festival di Locarno.
Il suo film, che narra la giornata di una famiglia rom nella campagna ungherese, dominata dalla quotidianità ma gravata dal peso di una serie di omicidi che sta sterminando la comunità gitana, vorrebbe riallacciarsi idealmente al cinema del reale messo a punto nel corso degli anni dai fratelli Dardenne. La macchina da presa a mano segue costantemente alle spalle i tre protagonisti (la madre e i due figli), li pedina cogliendo anche gli istanti di assoluta banalità, si concentra su una struttura ondivaga cercando di cogliere l’essenza dele cose. Un esercizio di stile francamente irritante, cui non giova anche l’evidente distacco con cui Fliegauf osserva il mondo dei gitani: una mancanza di apatia che arriva addirittura a sfiorare i confini con il razzismo dato che, eccezion fatta per la famiglia protagonista, lo spaccato umano portato davanti alla macchina da presa è dominato da ubriaconi, teppisti, attaccabrighe e violenti. Just the Wind è un film che ambisce ad avere un respiro “europeo” ma finisce per peccare solo di tracotanza: sarebbe forse il caso che i giovani registi comprendessero l’importanza della storia, e non si limitassero a copiare – senza troppa inventiva – schemi preordinati e standardizzati. Un notevole passo indietro per il giovane cineasta ungherese, ma anche un grave errore da parte della Berlinale: Just the Wind non meritava il concorso, nonostante gli applausi convinti di una parte della stampa accreditata. Che il gioco di mimesi sia andato a buon fine?