Dalla nostra inviata Daria Pomponio
Feuilleton illuminista sulla Danimarca sotto il regno di Christian VII, A Royal Affair, presentato in Concorso al 62°Festival di Berlino, riserva non poche sorprese. A partire dallo stile di ripresa adottato da Nikolaj Arcel (sceneggiatore di Uomini che odiano le donne) che, partendo da una regia classica da film in costume, cede a improvvise impennate di improvvido sperimentalismo, con zoom e jump cut a incorniciare i volti e poetiche sovraesposizioni a simulare la coda di una pellicola in super8 per i momenti più intimisti. Si tratta di scelte molto autoriali che poco si adattano all’argomento qui trattato, ovvero l’ascesa al potere del medico del popolo Johann Friedrich Struensee (Mads Mikkelsen), che diventa consigliere di un re mentalmente instabile (Mikkel Boe Folsgaard) e amante della regina Caroline (Alicia Vikander). Insieme a lei, oltre a concepire una bambina, cercherà di liberare la Danimarca dal feudalesimo e dalle ingerenze della Chiesa.
La pellicola di Arcel fatica però a decollare, dal momento che risulta scissa in due parti distinte: all’inizio seguiamo le sorti della giovane regina (il suo arrivo dall’Inghilterra, la scoperta del promesso sposo inetto), mentre poi l’attenzione si sposta sul dottor Struensee, sulla sua adesione alle idee della rivoluzione francese e sul suo intento riformista. Se infatti il sovrano si esprime in exploit ridanciani e come un novello Caligola nomina il suo cane membro del consiglio, il dottore e la regina, ispirati dalle idee di Rousseau, si preoccupano del bene del popolo, restituendo le terre ai contadini, aiutando gli orfani, vaccinando la popolazione contro le epidemie e limitando il potere della chiesa nelle questioni pubblico interesse. La tensione però latita e gli intrighi di corte fanno capolino solo verso la fine della pellicola. Persino Mikkelsen, di solito grande mattatore, qui pare un pesce fuor d’acqua. Non resta che apprezzare la sincera adesione espressa da A Royal Affair a un’ideale di progresso e uguaglianza, cosa che, di questi tempi, non fa mai male.