Dalla nostra inviata Daria Pomponio
Il blockbuster rappresenta lo strumento migliore per tastare il polso della società all’interno della quale viene ideato e prodotto. Basti pensare, banalmente, all’action americano e a come nel tempo abbia aggiornato la sua galleria di villain: dai russi ai mediorientali, dal nemico interno a quello che viene da lontano. Da anni il regista di Lanterne rosse Zhang Yimou realizza un cinema sempre più a uso e consumo dell’immenso mercato cinese, non ricerca più il plauso delle giurie dei festival europei, bensì quello degli alti gradi della Repubblica Popolare Cinese e del pubblico nazionale e asiatico. Non fa eccezione, nonostante la presenza nel cast di una star internazionale come Christian Bale, The Flowers of War, presentato Fuori Concorso alla Berlinale 2012. Nel raccontare il lungo assedio del 1937 da parte dell’esercito giapponese alla città di Nanchino, Yimou strizza l’occhio ai prodotti hollywoodiani riuscendo ad essere più spielbergiano di Spielberg.
Da sempre grande ammiratore del cinema statunitense (si veda anche l’infelice episodio di Sangue facile, remake sui generis di Blood Simple dei fratelli Coen), il regista cinese per The Flowers of War, riprende lo stile del blockbuster americano contemporaneo, mentre per i personaggi si ispira al cinema d’avventura e al western anni ’50 di Hollywood. Meascolando un po’ di Salvate il soldato Ryan con Gunga Din, e qualcosa di Indiana Jones con il suo emulo Alan Quatermain, il film di Yimou racconta di un sedicente prete americano (Bale) che si rifugia in una chiesa insieme a delle giovanissime studentesse di un convento e a un gruppo di eleganti prostitute. Cowboy fuori rotta, il personaggio di Bale per la tutta prima parte del film ha il contegno di una pessima parodia di John Wayne: entra in chiesa come se si trattasse di un saloon, rimorchia le prostitute, beve e sproloquia. Mentre la guerra infuria alle porte dell’edificio sacro, un gioco di seduzione alla Howard Hawks prende luogo all’interno, dove il prete ha deciso di rimorchiarsi una bella prostituta, mentre lei vuole essere scortata fuori città dall’occidentale. C’è posto anche per le risate e per la commozione, ma ha il sentore del cattivo gusto l’arrivo di un soldato ferito adolescente, bene accolto dalle meretrici per via della sua efebica bellezza. I giapponesi, naturalmente sono sanguinari e diabolici, anche quando posseggono del talento musicale. Il dramma però cresce, la sceneggiatura inanella un paio di incastri felici e ben utilizza tutto quanto aveva preparato prima, spiegazioni ridondanti comprese. Ecco allora che viene fuori il lato umano dei personaggi e scatta la gara a chi riuscirà a sacrificarsi meglio, per la patria e per il prossimo. Bale inizia a troneggiare e se nella prima parte del film gigioneggia un po’ troppo, sfiorando decisamente il ridicolo, con l’incalzare della tensione si rivela ancora una volta un interprete di grande raffinatezza espressiva e dalle innumerevoli sottigliezze. Non è in discussione poi il talento visivo di Yimou, abile nell’orchestrare l’azione della spettacolare sequenza di combattimento iniziale, di mescolare avventura, erotismo, buoni sentimenti, orgoglio patrio. Si prova però un po’ di disagio a sorridere e divertirsi di fronte ad un film sul massacro di Nanchino. Ma tant’è, le vie della propaganda sono infinite e quelle dell’intrattenimento anche.
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