Flussi seriali – Percorsi e influenze odierne e vintage delle serie americane a cura di Erminio Fischetti
Lo scorso 7 febbraio sono intercorsi esattamente 200 anni dalla nascita di Charles Dickens, lo scrittore di epoca vittoriana più popolare della storia della letteratura inglese. E probabilmente se sua madre non lo avesse messo al mondo non sarebbe esistita la serialità televisiva così come la conosciamo oggi. Perché Dickens pubblicava i suoi romanzi a puntate su quotidiani, settimanali, mensili dell’epoca lavorando sulla struttura dei personaggi attraverso una loro costruzione minuziosa, sull’esasperazione dei loro tic e comportamenti fisici, descritti in modo da dare al lettore una sorta di immagine visiva attraverso le parole. Temi portanti erano l’infanzia, l’amore e soprattutto il contrasto fra la povertà e la ricchezza, nonché un’ambientazione delle vicende prolungata in anni e anni e l’uso degli stilemi e delle storie dal sapore popolare. Dickens: cottimista della scrittura sia nella produzione che lunghezza dei suoi romanzi, scriveva con la stessa costanza del lavoro di un operaio. L’autore, in questo modo, rimodula i tempi e il valore del romanzo, che diviene un mezzo di fruizione per tutte le classi sociali, non solo quella borghese e aristocratica inducendo la curiosità del lettore attraverso l’uso del cliffhanger alla fine di ogni puntata o capitolo, il ritorno di personaggi che apparentemente sembrano “scomparsi” dalla storia. I suoi romanzi in fondo sono racconti fiume che si dilungano nel tempo, negli anni, i suoi protagonisti da bambini diventano adulti permettendo così, sempre al lettore, una lenta empatia nei suoi confronti e all’autore stesso di costruire non una, ma più storie intorno alla coralità dei personaggi. Racconti che sono l’emblema della classe popolare, che si identifica nella sua netta separazione fra buoni e cattivi all’interno di un’Inghilterra vittoriana definita, ma che si mantiene sullo sfondo per sancire il tempo dei personaggi. Tutti i suoi romanzi, infatti, sono stati oggetto di sceneggiati, miniserie, film per la tv, film per il cinema più e più volte: ispirati, ma soprattutto fedelmente adattati perché i suoi scritti non hanno bisogno di ricevere quelle modifiche narrative necessarie a rendere i personaggi seriali o filmici, lo sono già, il lavoro può dirsi già fatto.
Fra i suoi romanzi, Il circolo Pickwick è senza alcun dubbio il più seriale, ma paradossalmente il più autobiografico per eccellenza è David Copperfied – dove si racconta la storia dalla nascita del protagonista fino al suo secondo matrimonio quando è ormai adulto – quello più popolare e, di conseguenza, il più adattato per il piccolo schermo seguendo tutti quegli schemi che lo scrittore ha sancito. Dickens ha permesso la struttura narrativa del cinema e della serialità, basati per eccellenza sulla forma del romanzo ottocentesco (e non a caso il più saccheggiato dai due mezzi). George Cukor, all’inizio della sua carriera a Hollywood, si impose al grande pubblico proprio per due opere di sapore letteral-popolare, una delle quali è per l’appunto David Copperfield (mentre l’altra è Piccole donne, dal romanzo di Louisa May Alcott), registrata come quarta versione per il cinema, dopo tre mute di cui non abbiamo traccia. Tante le miniserie che, nei decenni successivi, seguirono l’opera di Cukor – persino l’Italia ne ha prodotte un paio, una del padre dello sceneggiato italiano Anton Giulio Majano del 1965 con un giovanissimo Giancarlo Giannini e un’altra recente con Giorgio Pasotti e Maya Sansa; tra quelle inglesi più rilevanti, piace ricordare un film tv dei tardi anni Sessanta diretto da Delbert Mann, che è una tipica produzione britannica da “cinema in costume” dell’epoca, specialmente per l’accesa cromatura della fotografia, l’evidenza dell’uso di interni da studios e il veicolo per uno stuolo di mostri sacri come Laurence Olivier, Wendy Hiller, Edith Evans. Seguirono per la BBC due versioni piuttosto convenzionali – inedite in Italia – strutturate in canonici episodi da trenta minuti, una del 1974, abbastanza apprezzata dal pubblico inglese, diretta da Joan Craft (prima volta per Copperfield ad avere una donna alla regia), e un’altra del 1986, diretta da Barry Letts, realizzata per un pubblico più giovane (negli Stati Uniti infatti trovarono una collocazione in orario daytime fra i programmi educativi della PBS).
L’adattamento BBC più popolare e apprezzato, per fedeltà al testo e accuratezza storica e d’ambienti, resta però quello del 1999 diretto da Simon Curtis (quest’anno alla ribalta con My Week with Marilyn), interpretato da Bob Hoskins e una compassata Maggie Smith, nonché prima apparizione in assoluto di un infante Daniel Radcliffe. L’anno successivo persino gli americani si cimentarono in una produzione più ironica targata TNT con un cast di attori non solo inglese (sacrilegio!). Infatti, nei mitici ruoli di Mr. Wikins e zia Betsey Trotwood figurano gli americanissimi ed esilaranti Michael Richards e Sally Field. Quale modo migliore per pigri lettori e consumatori di fiction ricordare il grande letterato inglese?