Belli e indipendenti

20/12/12 - Dal 25 gennaio, a un anno esatto dalla rivoluzione egiziana e dopo i tanti riconoscimenti internazionali, Tahrir di Stefano Savona esce in Francia.

Belli e indipendenti – Indagine sull’odierno cinema indipendente a cura di Giovanna Barreca

“Cairo, 30 gennaio 2011, 6 giorni dalla Rivoluzione” recita la didascalia che apre il film Tahrir. Da quel giorno l’autore Stefano Savona sarà in piazza Tahrir – ribattezzata Piazza della Liberazione – con le centinaia di migliaia di manifestanti rimasti dopo la marcia pacifica del 25 gennaio perché stanchi della corruzione sistematica che da 30 anni affliggeva l’Egitto, desiderosi di viver finalmente in un Paese laico e democratico. In piazza fino al 12 febbraio, il giorno successivo alla vittoria perchè dopo la lotta, le paure e la festa, in coda al film, fosse dato ancora spazio al post-Mubarak, ai dubbi dei ragazzi che avevano lottato e volevano capire a cosa avrebbero portato i loro sforzi.

Tanti motivi dietro alla scelta di Savona di arrivare al Cairo con una fotocamera digitale e un piccolo registratore per l’audio (una strumentazione così “agile” che sicuramente non gli sarebbe stata sequestrata dal regime), di non vivere in un albergo ma portarsi una tenda e fissarla in piazza e di filmare la quotidianità dei manifestanti (quasi assenti le immagini dei capi e dei comizi dei leader), per essere ‘un occhio’ tra i tanti dei giovani in cerca di un futuro tutto da conquistare (tranne un paio di riprese dall’alto, tutte le immagini sono girate in piazza). Scelte logistiche, estetiche, emotive ma alla base del percorso professionale di sempre: la ricerca del ruolo dei singoli all’interno del processo politico. Era così già in Primavera in Kurdistan, Piombo fuso , Il Palazzo delle Aquile e così sarà per il suo prossimo lavoro: un ritorno a Gaza. Anche se i contesti sono diversi, da sempre questa è la cifra stilistica che l’autore siciliano conferisce ai suoi documentari, rendendoli sempre delle esperienze visive e cognitive straordinarie.
Se possibile, questo discorso è valso ancora di più per l’Egitto che si liberava di Hosni Mubarak, vista la profonda conoscenza del paese da parte del regista. Savona infatti da 20 anni, ogni anno, si stabilisce per qualche mese proprio in Egitto, da quando, come ha dichiarato: “Da egittologo ho capito, stando al Cairo, che invece delle mummie potevo studiare la contemporaneità. Da quel momento sono sempre tornato in Egitto per scrivere, studiare, riflettere”. E, pur avendo tante immagini girate nel paese nord-africano, Savona fino al 30 gennaio scorso non ne aveva mai utilizzata nessuna che potesse confluire in un racconto perché “anche l’elemento filmico sembrava compreso negli schemi del regime”. Sono questi aspetti a conferire al film un respiro così potente e una tanto palese empatia con i ragazzi della piazza; tutto ciò rende le riprese di Savona un discorso completamente diverso da quello presente in un qualsiasi reportage giornalistico. Ne è nato un documento unico tanto da aver fatto – dalla presentazione mondiale al festival di Locarno quest’estate – il giro del mondo: da New York, Vienna, Montreal, Lisbona, Dubai, passando per tanti festival italiani (Salina, Sulmona ecc) fino alla distribuzione sul circuito alternativo di CineAgenzia. Il 25 gennaio, a un anno dagli avvenimenti narrati, Tahrir uscirà in Francia per essere strumento di riflessione su quei giorni anche alla luce di quanto accadde dopo e di quanto sta accadendo ancora adesso. Oltre alla potenza delle immagini, all’aver saputo cogliere le tante anime diverse di quella piazza, un aspetto curato trovando la giusta direzione è stato quello del montaggio dove il cineasta siciliano ha seguito un ritmo ispirato alla musicalità delle voci dei ragazzi e dei loro slogan, ai tempi e ai passi fermi dei manifestanti durante le ore di lotta contro l’esercito sulle barricate improvvisate, così come quello dei passi più lenti della riflessione tra ragazzi che ipotizzavano un dopo regime, uno stato nuovo che potesse portare in sé i valori espressi da tutti loro in quei giorni di democrazia partecipata.

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