Flussi seriali – Percorsi e influenze odierne e vintage delle serie americane a cura di Erminio Fischetti
A Seattle una ragazza adolescente viene trovata assassinata nel bagagliaio di una macchina appartenente alla campagna elettorale di un noto politico locale. La detective Sarah Linden, in procinto di trasferirsi e sposarsi, viene chiamata a far luce sul caso. Ma la donna più scopre indizi più sembra lontana dalla verità. Luci e ombre della cronaca e della politica sullo sfondo di uno dei più umidi e piovosi stati americani, The Killing – il cui pilota di Patty Jenkins quest’anno è passato per il Roma Fiction Fest – traccia un ritratto mordace dei meccanismi della politica locale e della società americana prendendo spunto dalla tradizione giallista nordeuropea, fra le più prolifiche e interessanti degli ultimi anni (vedasi anche con la trilogia Millennium di Stieg Larsson proposta e riproposta al cinema in tutte le salse). Basata sulla serie danese di successo Forbrydelsen di Søren Sveistrup e sviluppata per gli USA da Veena Sud (già sceneggiatrice e produttrice di Cold Case – Delitti irrisolti), The Killing ha un pregio in più rispetto ai remake di lingua inglese di lavori nordeuropei, che vengono rielaborati pedissequamente persino nel loro aspetto geografico, vedasi Wallander in versione britannica, che è sempre ambientato in Svezia (ma comunque efficace): possiede tutti i toni narrativi d’origine che vengono inseriti nel tessuto sociale statunitense.
Buona, infatti, la costruzione narrativa che tiene sul filo della suspence lo spettatore per tutta la durata della stagione, salvo un rallentamento verso la metà nella quale la storia sembra avere una battuta d’arresto per poi riprendersi egregiamente più avanti. La vera chiave di lettura, nonché il punto di forza della serie, è un’ambientazione cupa e umidiccia, che costruisce in un sottotesto visivo tutte le increspature psicologiche della vicenda e la cupezza di un mondo fatto di passioni estreme e di altrettanta mancanza di sentimenti (con toni che affondano in radici di tragedia greca e shakespeariana), dove la vita sembra la metafora di una chiatta alla deriva. I personaggi possiedono la veridicità dei toni ordinari di una comune fisicità, meccanismo sancito anche dall’ottimo lavoro di casting. Facce giuste al posto giusto e nella Hollywood di plastilina sembra sempre più difficile trovare queste virtù. E se la scelta dei corpi è perfetta, lo è anche la loro espressione: ottima infatti Mireille Enos (candidata non a caso a premio Emmy e Golden Globe) nelle vesti della detective Sarah Linden, che ritrae un personaggio tanto professionale sul lavoro quanto confuso nella vita privata, nonostante sia a un passo dal matrimonio, più viscerale invece la prova di Michelle Forbes, nel ruolo non facile della madre della vittima. La serie è stata trasmessa negli USA dal canale via cavo AMC (in Italia attualmente da Fox Crime), nato come contenitore di cinema classico (infatti è l’acronimo di American Movie Classics), viene portato al successo critico, più che di ascolti, di prodotti seriali notevoli come Mad Men, Breaking Bad e The Walking Dead; un canale che diviene col tempo sempre più variegato per generi, che spazia dal dramma, al thriller, all’horror etc., sempre mantenendo il rigore di un formalismo classico. Finora una garanzia di qualità.