Dai nostri inviati ALESSANDRO ANIBALLI e GIOVANNA BARRECA
Ascolta l’intervista di RADIOCINEMA al regista:
Dopo essere stato presentato in Europa già al festival di Locarno, arriva anche a Torino 29, in Festa mobile, il nuovo film realizzato su commissione del Jeonju International Film Festival, rassegna coreana che come ogni anno, da dodici edizioni, affida a tre registi affermati il compito di girare in digitale, fino a comporre un lungometraggio fatto di tre episodi. Il Jeonju Digital Project 2011 propone un trio tutto europeo, come raramente è capitato in passato: Un héritier di Jean-Marie Straub, Aller au diable di Claire Denis e Recuerdos de una mañana di José Luis Guerin. I tre capitoli riescono nella non facile impresa – vista la differente ispirazione – di dialogare tra loro, fino a comporre quasi un tema unico, quello dell’eredità, del passaggio di consegne. Nel film di Straub il regista si mette in scena in prima persona nel ruolo di testimone; in quello della Denis una figura enigmatica e carismatica si racconta sotto lo sguardo di un attore che lo dovrà impersonare, mentre nel lavoro di Guerin un violinista morto suicida viene ricordato e “riascoltato” dai suoi vicini di casa come simbolo di un enigma artistico e esistenziale cui lo stesso regista sente di far parte.
Un héritier di Jean-Marie Straub
A 17 anni di distanza da Lothringen! (1994) girato insieme alla compagna Danièle Huillet scomparsa nel 2006, Jean-Marie Straub torna da solo nell’odiata-amata Lorena, sua regione natale. E come nel film del 1994 in Un héritier traspone un romanzo di Maurice Barrès, suo conterraneo vissuto a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, nazionalista francese e profondamente anti-tedesco. Pur non avendo nemmeno lui in simpatia la Germania, Straub, che è tutt’altro che un nazionalista, mette in scena il romanzo Au service de l’Allemagne, scritto da Barrès nel 1903, con distacco da osservatore. Come di consueto, Straub lascia la parola al testo originario, trasponendo letteralmente delle parti del romanzo ma, in questo caso, si affida a una sorta di dialogo tra se stesso (che il regista francese appaia come attore in un suo film è una rarità) e un giovane medico che racconta il suo rapporto con la terra in cui deve vivere e l’antipatia per i tedeschi. Da attore e insieme testimone e ascoltatore, Straub immette in Un héritier una forte componente autobiografica, per una sorta di ritorno nella sua terra, un ritorno vissuto però con rassegnazione. Mentre il giovane medico, interpretato da Joseph Rottner, si infervora al ricordo di alcuni episodi drammatici, lui lo osserva silenzioso e senza coinvolgimento. Intorno, un ridente paesaggio di campagna e una donna che serve delle birre ai due protagonisti danno un senso di quiete, ma la lettura del presente è quasi inevitabile: se tutto sembra placido e tranquillo, la foga del medico (l’uomo d’azione del film che vale da corrispettivo del patriottismo di Barrès) sembra parlarci indirettamente: al cuore del confine tra Francia e Germania c’è il presagio di un ritorno del nazionalismo.
Aller au diable di Claire Denis
Affascinata come di consueto dai limiti e dai confini della Francia e dunque della sua civiltà (e delle sue contraddizioni), come già si era visto ne L’intrus (2004) e in White Material (2010), Claire Denis in Aller au diable si sposta in Sud America e raggiunge la Guyana francese. Qui, al confine con il Suriname, si incontra con un uomo ricercato e condannato dai tribunali transalpini, Jean Bena, un cercatore d’oro accusato di omicidi e torture. Claire Denis lo mostra al lavoro nelle miniere, ma soprattutto ne ritrae l’umanità e il rimpianto verso una giovinezza ormai perduta. Inoltre la regista si è fatta accompagnare nel suo viaggio dall’attore Jean-Christophe Folly (che ha recitato per lei in 35 rhums, 2008), al quale viene chiesto di osservare Bena in previsione di un film in cui dovrà recitare la sua parte. Vero o falso che sia, il meccanismo colora il film di un’affascinante ambiguità (Bena per certi versi deve ben interpretare il ruolo di se stesso per ammaliare Folly) e dunque Aller au diable – proponendosi tutt’altro che come inchiesta – si impone come studio e costruzione di un personaggio e, di nuovo, come lavoro sulla testimonianza (come Un héritier di Straub).
Recuerdos de una mañana di José Luis Guerin
Ritratti, immagini, città. Da sempre il cinema di José Luis Guerin crea una sorta di cortocircuito andando oltre i concetti racchiusi in tali visioni. In Recuerdos de una mañana, il regista fa un ulteriore passo avanti presentandoci oltre al quartiere di Barcellona, dove vive, una comunità molto particolare che non dialoga, come ovvio, attraverso le parole ma grazie al suono di un violino. Lo strumento udito da tutti viene messo a tacere per sempre il 12 gennaio 2008 quando il proprietario decide di suidicarsi gettandosi proprio dalla finestra dalla quale si esercitava con dedizione, lasciando udire a tutti le sue note. La mancanza di musica darà vita alle parole. “Forse il suo suicidio ha trasformato una comunicazione invisibile in un incontro reale” – ha spiegato Guerin che ha incontrato tutti i suoi vicini, per scoprire che tutti udivano suonare il violino, dialogavano a distanza con il musicista ma nessuno lo conosceva. La sua morte ha obbligato tutti a ritrovarsi e parlare di lui. La finestra del violoncellista crea l’architettura del dramma e lo spartiacque tra i due momenti centrali dell’opera filmica e della comunicazione invisibile. Un film di incontri quello di Guerin e in questo caso anche di luoghi (come in Guest, 2010) a partire dalla macchina da presa, della sua presenza in campo come protagonista e come oggetto per lasciare una testimonianza.