Dal nostro inviato ALESSANDRO ANIBALLI
Ascolta l’intervista di RADIOCINEMA al regista:
L’unica scelta davvero discutibile della ricca programmazione della 29/a edizione del Torino Film Festival è apparsa la selezione in Festa mobile – Paesaggio con figure del film Il corpo del duce per la regia di Fabrizio Laurenti, già autore del documentario Il segreto di Mussolini (che valse da spunto per Vincere di Bellocchio). Discutibile innanzitutto perché Il corpo del duce è un film televisivo (quindi non adatto a un festival cinematografico), co-prodotto da Cinecittà Luce e da RTI (gruppo Mediaset), e in secondo luogo per l’atteggiamento etico-politico del film che appare ambiguo e revisionista verso la figura di Benito Mussolini. Da un punto di vista puramente linguistico Il corpo del duce presenta tutti i meccanismi classici di un film di montaggio pensato per la televisione: una voice over oggettiva (il narratore è Giole Dix), immagini di repertorio, interviste ai personaggi coinvolti nella vicenda e un montaggio apparentemente ordinato anche se in realtà martellante (e che si lascia andare ogni tanto a eccessi vagamente kitsch, come la sovrimpressione tra una statua raffigurante il volto di Mussolini e un primo piano del dittatore mentre fa un comizio).
Ma quel che preoccupa davvero è l’atteggiamento complessivo verso la materia narrata. Adattamento dal libro omonimo di Sergio Luzzatto, Il corpo del duce ripercorre tutti gli spostamenti del cadavere di Mussolini dal giorno della sua esposizione a Piazzale Loreto fino al momento in cui la salma venne deposta a Predappio. Ma, a fronte di un obiettivo che poteva anche essere interessante, Laurenti declina il suo film in maniera a dir poco ambigua: Mussolini appare come una figura cristologica prima venerata e poi calpestata, con un’aura decisamente pericolosa. Il Mussolini che, rivisto oggi, appare ridicolo e grottesco (si veda il film di Bechis Il sorriso del capo, presentato sempre qui al festival), diventa nelle mani di Laurenti una figura temuta e rispettata non solo all’epoca (cioè durante il Ventennio), ma persino oggi. Ed è tutt’altro che di poco conto la scelta di mostrare dei nostalgici del fascismo, tra cui ex repubblichini in pellegrinaggio a Predappio e fascisti della prima e dell’ultima ora come Domenico Leccisi (che trafugò la salma di Mussolini e poi divenne parlamentare dell’MSI). Il diritto di parola naturalmente vale per tutti, ma quel che qui si contesta è il filo diretto che si crea tra l’elogio nostalgico del duce da parte di alcuni reduci e l’ammirazione per Mussolini negli anni del fascismo che viene descritta in altri momenti del film.
Insomma, Il corpo del duce è un film a senso unico che utilizza gli strumenti dell’audiovisivo per costruire un testo fascinatorio e orrorifico (l’insistenza sui resti del corpo di Mussolini ha dell’osceno e non vuole far altro che suscitare il ribrezzo dello spettatore e la riprovazione per quanto quel corpo ha subito); montaggio, musica e voice over avvolgono il pubblico in un ingannevole paesaggio da film oggettivo, quando la parzialità dell’operazione appare lampante. Denifizioni recitate dalla voce narrante quali “antifascisti incalliti” e “guerra civile” (la terminologia per la lotta di Liberazione è un campo aperto su cui si scrivono dei libri e non la si può dare per assodata in questi termini) lasciano allibiti. E, senza voler discutere della persona del regista, si deve però tener presente l’idea che chi fa cinema (o televisione) ha una responsabilità di fronte al suo pubblico, soprattutto quando si racconta una pagina così complessa della storia del nostro paese. Se si vuole mettere in scena la fascinazione per figure carismatiche come un tempo Mussolini e oggi Berlusconi non si può usare in modo fascinatorio l’immagine e il testo cinematografico-televisivo, perché è proprio sull’irrazionalità visiva e sull’impatto emotivamente profondo nell’immaginario che sono intervenute le propagande prima del fascismo e poi del berlusconismo. Perciò ad esempio un’analisi del Ventennio – perché Il corpo del duce non parla solamente del cadavere di Mussolini ma allarga più volte il campo del discorso – deve essere impostata sulla decostruzione dell’immagine propagandistica, per capire a quale livello della coscienza del Paese sia arrivato il messaggio mussoliniano (cosa che per certi versi ha cercato di fare Bechis). È davvero molto discutibile invece raccontare oggi quel passato continuando a usare gli strumenti ingannevoli di un tempo, riproponendo sostanzialmente la finta oggettività di un cinegiornale Luce.