Dal nostro inviato ALESSANDRO ANIBALLI
Al contrario di altri film presentati in concorso alla 29/a edizione del Festival di Torino, come ad esempio Le vendeur, Heart’s Boomerang del russo Nikolay Khomeriki non è legato all’attualità e anzi cerca di assumere una dimensione a-storica, esistenziale, paradigmatica. La scelta di lavorare in bianco e nero invece che sul colore va proprio in tal senso: un’immagine ingrigita, dove tutto appare privo di qualità, di bellezza e di evoluzione. Kostya, protagonista della vicenda, è un giovane assistente guidatore della metropolitana che scopre di avere un grave malattia al cuore e quindi diviene consapevole, sin dall’inizio del film, che potrebbe morire da un momento all’altro. Decide comunque di non avvertire nessuno e cerca di condurre la sua monotona esistenza come se nulla fosse cambiato. Ma è chiaro che la cognizione della morte in agguato mette in luce la precarietà di ogni suo gesto e azione. Cercherà quantomeno di incontrare per la prima volta suo padre, che lavora tassista non autorizzato.
Costruito su lunghi silenzi cui si aggiungono scene a volte enigmatiche e con una regia quasi ieratica e comunque affascinante, Heart’s Boomerang riesce a dipingere un ritratto efficace della condizione di dead man walking di un personaggio, uno status ampliabile del resto a tutta la città in cui si trova a vivere. Il film infatti è incorniciato all’inizio e alla fine da una stessa inquadratura che restituisce lo skyline nebbioso e mortifero di un paesaggio cittadino, mentre in più punti il destino del personaggio sembra apparentabile a quello di altri infelici abitanti (una donna che comincia a piangere quando la metro si ferma temendo un attacco terroristico, un’altra che viene sadicamente usata come oggetto sessuale da due uomini, una terza che chiede a Kostya di dargli sollievo perché la vita è troppo grigia). La differenza però che passa tra la città stessa, i suoi cittadini e Kostya è che quest’ultimo è consapevole della morte e dunque il suo sguardo ha quell’apertura mentale che gli permette di guardare tutto con un certo distacco e con rassegnazione. E, considerando che il punto di vista del protagonista è anche quello con cui si identifica lo spettatore, ecco che Heart’s Boomerang consegna la descrizione di un mondo inconsapevolmente prossimo alla morte. Lo stesso meccanismo della metropolitana, oltre all’evidente dimensione simbolica dell’attraversamento di una galleria completamente buia, permette di leggere il film come una sorta via crucis insensata (perché il viaggiare di Kostya non ha destinazione, ma è solo funzionale al suo lavoro), priva di un qualsiasi appiglio. Se poi alla metro si aggiunge anche l’informazione che il padre del protagonista è un tassista (e dunque anch’egli estraneo all’idea del viaggio come fuga), diviene conseguente la conferma di un costante attraversamento senza finalità ben precise, un non-senso che l’approssimarsi della morte svela nella sua immediatezza.
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