Dalla nostra inviata GIOVANNA BARRECA
Un flusso, vivere come un’esperienza visiva che arrivi a toccare le corde dell’emotività Un mito antropologico televisivo di Marie Helene Bertino, Dario Castelli e Alessandro Gagliardo presentato a italiana.doc al Torino Film Festival. Il film è un’opera di montaggio su circa 30 cassette, dal 1991-1994, realizzate da una televisione catanese e destinate poi al servizio per il tg. Il periodo preso in esame ha un’importante rilevanza storica; in quegli anni i primi arresti a latitanti mafiosi con una risposta che non era più omertosa da parte dei siciliani. La ribellione civile nelle strade. Al contempo c’è la rabbia che la casa negata con manifestazioni di piazza, cortei spontanei di donne che rivendicano il diritto di far crescere i loro figli in luoghi dignitosi. Quindi un documento storico ma, non dando nessuna puntualizzazione storeografica, i registi ne fanno anche un frammento di una mito in divenire: in quei volti, in determinate espressioni, in quella comunità pronta a manifestarsi c’è tanto del nostro passato ma un ritratto lucido e attento anche del nostro presente e probabilmente di un futuro in divenire.
Il senso è spesso veicolato alla ricerca di quegli scarti di ripresa, a ciò che resta fuori dall’inquadratura e quindi invisibile allo spettatore, a tutto un insieme di elementi che potrebbero comporre un trattato di filosofia sull’utilità delle storie quotidiane per la ricerca dell’identità di una nazione, troppe volte ferita. In Un mito antropologico televisivo c’è la concretezza del reale ripresa dalle quattro inquadrature classiche degli operatori televisivi. Un reale mai oggettivo, uno sguardo spesso imperfetto che si affida a piccoli gesti compiuti dagli intervistati, tratteggio delicato, minimo che lascia emergere la dimensione umana e spesso disumana (basti pensare ad alcune domande poste), un mondo di paure nascoste. I registi catturano tali immagini, le rielaborano ma decidono di non aggiungere nessun sottofondo musicale, né altro commento alla purezza della messa in scena. Scarti recuperati del primo capitolo di un documentario che, come hanno spiegano gli autori: “Vorremmo si ampliasse con la ricerca anche in archivi di tutta Italia perché si possa scrivere di un mito il cui medium di fruizione sia il tempo”.