Dalla nostra inviata GIOVANNA BARRECA
“I make home movies therefore I live, I live therefore I make home movies” dichiarò Jonatas Mekas, parlando dei suoi video-diari, un lavoro intimo e personale che tocca le corde dell’emotività. Non ghettizzando il suo lavoro in una categoria ma realizzando opere di video-arte e quindi istallazioni e film che hanno percorsi e vite che spesso si incrociano, da ormai quattro decenni, le sue ‘visioni autoriali’ hanno una circuitazione non solo nelle sale ma soprattutto in spazi espositivi di tutto il mondo. Si rende omaggio all’opera di un autore underground che non si è mai piegato alle logiche né della produzione né della distribuzione anche nella sezione Onde del Torino film festival, luogo ideale all’interno della kermesse torinese per parlare della sperimentazione messa in atto dall’autore di origine lituana che presenta in prima mondiale la sua ultima opera-diario: Sleepless Nights stories.
Mekas continua ad essere il ‘ragazzo eversivo’ (compie 89 anni il 24 dicembre ) che mette a nudo se stesso. Da sempre le sue opere affrontando diversi temi: lo sradicamento, l’esilio, la quotidianità. Negli anni ’60 c’era in primo piano la battaglia pacifista contro la guerra in Vietnam (protagonisti era rintracciabile in artisti della beat generation come Allen Ginsberg ), oggi c’è soprattutto la quotidianità dei piccoli gesti, degli incontri tra grandi artisti, l’amore per la letteratura e la filosofia in “un lunghissimo film che continua a svilupparsi anno dopo anno”. Sleepless nights stories è ancora un viaggio in Europa tra Italia, Francia, Spagna alla ricerca dell’arte della vita rintracciata nei piccoli gesti suoi e di artisti come Yoko Ono, , Louis Garrel, Ken Jacobs, Harmony Korine, Jean-Jacques Lebel, Diane Lewis, Jonas Lozoraitis, DoDo Jin Ming, Dalius Naujokaitis, Benn Northover, Patti Smith, Lee Stringer, ‘usati’ per creare piccole storie per riflettere sul lavoro intellettuale, su come concepirlo oggi non lasciando morire la creatività. Mekas usa come pretesto di questo nuovo viaggio le Mille e una notte e la sua insonnia e il vino italiano. Frammenti di vita e di film all’inizio della carriera realizzati con una 16mm Bolex che Andy Warhol volle identica e che oggi invece si avvalgono del digitale con un’immagine che non vuole mai essere completamente nitida e con l’inesistenza del lavoro sulla correzione colore in post-produzione. Un diario con luoghi, amici dove le liriche scritte sono accompagnate da quelle scelte per le immagini con un occhio sempre attento ai dettagli dei corpi, degli oggetti, non alla ricerca della purezza della visiona ma della sua verità. Ai figli di Jacqueline Kennedy Onassis regalò un manualetto con un imperativo: “Riprendete un albero al vento, riprendete il volto di una persona”. Riprendere la vita, insomma.
Però, da sempre, le opere dell’autore lituano non sono per il grande pubblico; la stanchezza visiva che tali proiezioni generano è tale da sentire l’incapacità di portare a termine una proiezione di oltre 100 minuti, come ha dimostrato l’abbandono di metà degli spettatori alla proiezione al Greenwich 1. Non è mai stato messo in dubbio lo stile autoriale e la sua originalità con la macchina da presa/telecamera che deve “muoversi in maniera inregolare come la vita” ma la possibilità dell’organismo umano di sopportare a lungo immagini girate come se la telecamera fosse semplicemente l’estensione di un braccio.