Dal nostro inviato ALESSANDRO ANIBALLI
Fa senz’altro piacere vedere selezionato in concorso al Torino Film Festival un film come l’indonesiano The Raid (titolo originale, Serbuan maut) diretto da Gareth Huw Evans, un tipo di film fatto quasi esclusivamente di combattimenti con arti marziali che un tempo forse si sarebbe visto solo al Far East di Udine. Eppure, ciò non toglie che – come a volte capita a opere di questo tenore – i difetti siano numerosi, a partire da ciò che sorregge normalmente un buon film, e cioè una buona sceneggiatura. The Raid è scritto in modo approssimativo, con misteri e svelamenti decisamente poco verosimili e con lunghi momenti di pausa fatti di dialoghi poco significativi. Ogni volta allora, in queste occasioni, si resta trepidamente in attesa della prossima esplosione di violenza. Del resto in The Raid, virtù e limiti vanno a braccetto e gli uni non possono escludere gli altri. Da un lato vi sono i combattimenti fatti di arti marziali che hanno una coreografia eccellente e una regia che segue in continuità le evoluzioni acrobatiche dei personaggi in scena, dall’altro vi è la storia che è semplicemente una scusa per permettere ai duelli di avere luogo.
Il film di Gareth Huw Evans racconta un’azione di polizia, un rallestramento, fatto all’interno di un grande caseggiato governato, dall’ultimo piano, da un boss della droga. L’uomo ha al suo servizio una vera e propria truppa di combattenti cui la polizia si troverà costretta a dover fare i conti, con annesse sparatorie, carneficine e quant’altro. A questo plot elementare, il regista però aggiunge una dose di complicazioni melodrammatiche che stonano del tutto (il disvelamento di due fratelli nei fronti opposti, la complicità e la rivalità tra il boss e chi comanda l’azione di polizia) e che necessitano di lunghe e inutili spiegazioni. The Raid è però comunque piacevole da vedere perché è possibile assistere a un autentico film d’azione, ingenuo quanto si vuole, ma onesto nelle intenzioni e soddisfacente nei risultati.