Dal nostro inviato ALESSANDRO ANIBALLI
Arguta riflessione sulla crisi economica in atto, Le vendeur, presentato in concorso a Torino 29 (e già selezionato per il Sundance), è l’esordio alla regia del canadese Sébastien Pilote. Interpretato in modo elegante ed enigmatico da Gilbert Sicotte, Michel è da anni il miglior venditore d’auto di una piccola cittadina del Québec costantemente immersa nella neve e, nonostante le insistenze della figlia, a 67 anni non ha alcuna intenzione di andarsene in pensione. Nella sua stessa cittadina intanto, sta per chiudere una fabbrica che dava lavoro a buona parte della popolazione; tuttavia Michel continua a voler vendere auto e a cercare sempre nuovi escamotage per far cadere potenziali clienti nella sua rete. Sui titoli di coda vengono ringraziati gli ex lavoratori della fabbrica e ciò permette di capire che il regista ha fatto riferimento a una vera crisi industriale che ha coinvolto il suo paese. E il dato reale da cui parte il film è perfettamente accompagnato da una regia che nella prima parte sfrutta quasi sempre la macchina a mano, nell’intenzione di immergere lo spettatore in una condizione il più possibile realistica, verosimile. Perché è appunto della crisi globale che si parla ne Le vendeur, del tracollo industriale che sta coinvolgendo tutti i paesi occidentali. E la scelta di vedere quanto sta accadendo con gli occhi di un venditore d’auto di vecchia generazione, legato perciò ancora all’ideale del boom economico degli anni ’60, è perfetta perché permette di riflettere sullo scollamento terribile che sta avvenendo in Occidente, tra un recente passato fatto di ricchezza, un presente incerto (pur ancora nel desiderio della futilità) e un futuro sicuramente tutt’altro che edonistico.
Così, ne Le vendeur chiude la fabbrica, chiudono l’ospedale e il benzinaio, resta invece solo il venditore Michel che continua a voler propinare auto. Ultimo cieco schiavo del capitalismo, il protagonista vive solo in funzione della vendita e l’unico suo residuo appiglio al mondo reale, l’unico spiraglio per non ragionare solo in termini di merce gli viene dalla figlia e dal nipotino. Senza di loro, non è più neppure un uomo, ma solo un venditore, capace di continuare il suo lavoro per inerzia come un sorridente e garbato automa. Documentaristico ma anche ricco sul piano simbolico (come l’alce morto e sanguinolento che viene trascinato sulla neve, metafora di un mondo destinato a svanire, a decomporsi), Le vendeur è un ottimo esempio di cinema in tempo di crisi, una testimonianza preziosa che ancora manca nella nostra recente cinematografia.