Presentato con successo nella Selezione Ufficiale all’ultimo Festival di Berlino, arriva anche nelle nostre sale il primo lungometraggio di Yasemin Samdereli, Almanya – La mia famiglia va in Germania, spaccato storico e sociale di una famiglia turca emigrata in Germania negli anni Sessanta, quando l’economia tedesca era così florida da rendersi protagonista di una delle migrazioni estere più importanti del Novecento. Negli anni Sessanta, infatti, la famiglia Yilmaz si trasferisce da un villaggio dell’Anatolia in una rarefatta Germania industrializzata. Quasi cinquant’anni dopo, quando tutti i componenti della famiglia sono ormai perfettamente integrati nel tessuto sociale tedesco, il patriarca decide di portare moglie, figli e nipoti in vacanza nella sua terra natia dove ha acquistato una casa. Tra la spumeggiante armonia di colori di Jeunet e la comicità melting pot di Fatih Akin, la pellicola di Yasemin Samdereli si divide su due piani temporali, che si alternano con un massiccio uso del flashback: quello storico degli anni Sessanta e quello contemporaneo, che mostra il radicale cambiamento sociale di due popoli e due Nazioni.
Un’opera che si divide in vari generi attraverso una discreta struttura narrativa che va avanti e indietro, fra il presente e il passato, e si sviluppa all’interno di sottogeneri come l’on the road e la commedia di costume con alla base sempre la traccia dei valori famigliari e la forza della loro unità. Gli Yilmaz sono tedeschi sotto tutti i punti di vista, specialmente i figli della coppia, che inizialmente rifiutano la possibilità di fare un viaggio alla ricerca di quelle radici che si sono totalmente lasciati alle spalle. Al contrario invece sono i nipoti ad accettare e a voler scoprire il loro passato, ben più vicini ai racconti e alla sensibilità del loro nonno, in particolare il l’ultimo nato. Interessante nella sua analisi sociale, la pellicola è però, sia nella sua linea estetica che narrativa, spaccata. Infatti, la parte storica è molto ricca di colori, il passaggio dalla vita contadina e arcaica, dall’Anatolia al boom economico di un Paese industrializzato come la Germania, è sviluppato con intelligente leggerezza, vedasi le divertenti scene oniriche (uno dei figli bambini sogna la possibilità di poter bere sempre la Coca Cola in Germania, ma ben presto questo desiderio si trasforma in un incubo). Nel racconto di quegli anni, Almanya – La mia famiglia va in Germania mai ostenta una facile demagogia o preme il pedale sulla povertà degli Yilmaz. Anzi, il film sdrammatizza la loro condizione e i loro problemi di adattamento attraverso un aspetto ironico costruito con i contorni di una fiaba. Samdereli, che scrive la sceneggiatura a quattro mani con la sorella Nesrim, concede così ai personaggi tutta la dignità e il rispetto che meritano. A peccare in banalità e stereotipi è in realtà la parte moderna che vira su una visione drammatica e malinconica e, nonostante ricordi la commedia americana indie Little Miss Sunshine, ne perde l’ironia e l’aspetto scanzonato, tanto che nella confezione stessa di quella parte non convince e non trascina.
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