Dalla nostra inviata GIOVANNA BARRECA
Ascolta l’intervista di RADIOCINEMA a:
Scoprire una sceneggiatura inedita può aiutarci a rileggere l’intera opera di Michelangelo Antonioni? Sia Silvia Ronchei – che collaborò in quanto studiosa di misticismo alle sette stesure del testo, quando era poco più che una studentessa – sia Paolo Mereghetti, critico del Corriere della Sera che l’ha letta, rispondono affermativamente a questa domanda durante l’incontro ospitato dal Festival del cinema di Roma. La presentazione di Patire o morire ha dato inizio agli incontri, proiezioni e dibattiti che si svolgeranno nel 2012, anno del centenario dalla nascita dell’autore nato a Ferrara ma adottato dalla capitale. Grazie a facebook Elisabetta Antonioni, la nipote del regista (quest’anno ha creato nella città emiliana un’associazione) e Silvia Ronchei sono entrate in contatto e hanno deciso di rendere pubblico il manoscritto che non trovò mai un produttore per essere portato sul grande schermo. “Il testo si occupa della mistica come forma di eros. Ci sono scene dissacranti che sicuramente sarebbero state difficili da collocare in ambito cattolico” – ha precisato Mereghetti. Certamente negli anni ’70 il tema non veniva trattato con lo stesso interesse e attenzione riservata oggi.
Come racconta Silvia Ronchei, Antonioni aveva una grande umiltà e più volte la esortò a lavorare insieme, spiegandogli che sarebbe stato disposto a imparare tutto sulla Patristica cristiana (tutti gli scritti e insegnamenti dei padri della chiesa:i primi teologi e maestri di spiritualità, santi e profeti che vengono dopo la venuta di Gesù) perché era soprattutto attratto dall’idea che il mistico è un individuo che sta al buio, non ha la fede ma è sempre avvolto dal dubbio e quindi capace della visione. Poi, dopo aver assimilato maggiori informazioni possibili su quel mondo, con Tonino Guerra, il regista ferrarese crea una storia che ha come protagonista un architetto italiano che va in Spagna e chiede il permesso di restaurare un ex monastero. Quasi in parallelo c’è l’incontro con una ragazza misteriosa che poi, al termine della narrazione, deciderà di entrare in un convento di clausura lasciando il ragazzo con tante domande senza risposta e sensazioni inespresse. Mereghetti lo definisce un testo che “colpisce per la modernità del modo narrativo di far procedere la storia. Senza stacchi, le figure si scolorano, diventano un’altra cosa lasciando spazio alle idee e alle fantasie dell’architetto”. La parte finale della sceneggiatura è diventato l’ultimo episodio di Al di là delle nuvole del 1995.