Dal nostro inviato EMANUELE RAUCO
Se il pugilato o gli sport di combattimento – vedasi il recente Warrior – funzionano benissimo nel cinema di finzione, sembra più difficile collocarli nel documentario, almeno per una questione di linguaggi e mezzi (eccezione imprescindibile, Quando eravamo re di Hackford e Gast). L’operatrice Heidi Rizzo, invece, esordisce alla regia con Grazia e furore – presentato tra gli Extra del festival di Roma – dimostrando che anche il cinema del reale può raccontare storie altrettanto appassionanti fatte di pugni, calci, sudore ed emozioni. Protagonisti sono Fabio e Gianluca Siciliani, due campioni di muay thai, la boxe thailandese, che dal Salento fanno un viaggio nel luogo dove nasce il loro sport per affrontare un importante torneo: oltre alla loro arte, conosciamo la vita privata, ma anche la filosofia di uno sport. Da un’idea di Alessandro Valenti, la regista realizza un documentario prodotto da Edoardo Winspeare (Galantuomini) che racconta la bellezza e la forza – come dice il titolo – di uno sport, ma soprattutto di ciò che c’è dietro, dello spirito che l’ha creato e che lo ha nutrito nei secoli.
“Il muay thai mi ha dato tutto” – dice uno degli intervistati orientali del film, che mette in scena la pratica sportiva, il suo valore mistico e spirituale e la filosofia di vita che c’è dietro, nata da un’antica arte marziale basata innanzitutto su un’intensa preparazione psichica; ma al contempo, Rizzo racconta l’ascesa e la vita dei fratelli Siciliani, il rapporto tra di loro, con lo sport e con la loro famiglia, con le immagini della compagna ballerina di uno dei due a fare da contrappunto alle sequenze di combattimento. Un accostamento un po’ facile e didascalico per un che segue in modo pulito, quasi lineare, una vicenda sportiva che, proprio come nel cinema di Hollywood, è anche e soprattutto familiare. Più che i match, nel film di Rizzo contano e colpiscono i dialoghi tra fratelli, le confessioni, gli attimi di intimità che rivelano fuori da ogni preconcetto come due campioni mondiali di arti marziali possano essere figure che bucano lo schermo, personaggi colti (la preparazione mentre uno dei due canta i CCCP); e che conferiscono al film un fascino e un interesse che forse, per l’inesperienza della regista, le sole immagini e l’intreccio non riescono a restituire completamente.