Speciale Venezia 65 – Ottavo giorno
(Dal nostro inviato Alessandro Aniballi)
04/09/08 – Il nuovo film di Jonathan Demme, Rachel Getting Married, alza notevolmente la media dei titoli del Concorso a Venezia 65 e si candida con autorevolezza ad un premio importante. Se non dovesse arrivare il Leone d`Oro, ci parrebbe quantomeno doveroso assegnare il premio alla regia al cineasta americano o, in alternativa, la Coppa Volpi ad Anne Hathaway, eccellente protagonista di questo melodramma familiare praticamente perfetto, in cui si rispetta la regola tragica canonizzata da Aritstotele delle tre unità di tempo, di luogo e d`azione. L`irrequieta macchina a mano di Demme segue con ostinazione i personaggi che sono sempre sul punto di spezzare l`ostentata serenità richiesta dalla circostanza: il matrimonio di Rachel, la figlia maggiore. Un fragile equilibrio che si rivela insostenibile per la presenza della sorella reietta Kym (Hathaway), alla quale è stato permesso di lasciare per ventiquattro ore la casa di cura in cui è ricoverata a causa della sua dipendenza dalle droghe. Teso ed essenziale, commovente e malinconicamente divertente, Rachel Getting Married entra di diritto nella grande tradizione del melò statunitense, quello che annovera opere di maestri del calibro di Kazan, Lumet, Zinnemann e Altman.
Fuori concorso è stata la volta di Les plages d’Agnès di Agnès Varda, lavoro autobiografico-saggistico che è tratto distintivo della cultura francese da Montaigne in poi. La Varda percorre a ritroso il suo tragitto esistenziale, dai giorni dell`infanzia a quelli della scoperta del cinema, dall`appartenenza alla Nouvelle Vague fino ad arrivare al dramma della morte del suo compagno Jacques Demy. Anche qui è inevitabile che sgorghi qualche lacrima dagli occhi dello spettatore, tuttavia l`importanza di Les plages d`Agnès va trovata soprattutto nella testimonianza di vita di una donna intelligente e ironica, che sa raccontarci di riflesso anche buona parte della temperie novecentesca, partendo dagli anni Trenta per arrivare ai Novanta. Poi la Varda, oltre ad una sublime ironia, sa dispensare persino momenti di rara poesia. Pensiamo in particolare all`inizio dove, sulla spiaggia della sua infanzia, decine di specchi alludono al gioco – sadico e salutare – del “riflettere”, del guardare in sè stessi.
A latere, sono risultati non disprezzabili due film programmati in sezione secondarie della Mostra: Cucumber di Zhou Yaowu (Settimana della Critica) e Una semana solos di Celina Murgia (Giornate degli Autori). Il film cinese ha una partenza difficoltosa, perso tra personaggi che fatica a mettere a fuoco, ma poi si fa interessante quando mostra l`abiezione spaventosa di costoro. Il quadro allora risulta più chiaro: in una Pechino poverissima, milioni di uomini-formiche sono spinti dall`unico desiderio di ottenere quel tanto che permetta loro di sopravvivere per un giorno ancora. Nel mostrare questi percorsi di disperazione, Zhou sceglie una asciuttezza di messa in scena inizialmente fastidiosa (quasi sempre macchina fissa, digitale sporco), ma che alla lunga convince perchè risulta pertinente con un racconto di miseria che vuole mostrarsi il più possibile oggettivo ed ampio, quasi collettivo. Una semana solos, invece, visivamente è molto bello, con dei colori pieni e definiti. Ambientato in un ricco quartiere residenziale, il film argentino è il resoconto evenemenziale di un gruppo di ragazzini e bambini, lasciati soli in casa dai genitori. Ne nasce una mini-comunità sodale che si lascia tentare da piccole illegalità e si misura con la crescita; il tutto viene reso con un realismo davvero efficace.