Johnny English – La rinascita

07/10/11 - Oliver Parker dirige il ritorno della imbranatissima spia col volto di Rowan Atkinson. Il tocco è raffinato e più british, ma la confusione è dietro l'angolo.

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  • Rowan Atkinson
  • Oliver Parker dirige il ritorno della spia più imbranata del mondo interpretata da Rowan Atkinson. Il tocco è raffinato e più british che mai, ma la confusione è dietro l’angolo. A otto anni dal suo fortunato debutto sugli schermi, torna Johnny English, l’agente segreto al servizio di Sua Maestà interpretato da Atkinson, con una nuova rocambolesca avventura che lo porta a Hong Kong per sventare una cospirazione internazionale che mira alla vita del primo ministro cinese. Giocando ancora una volta a fare il verso al cinema di spionaggio (quello della serie di 007 in primis) Johnny English – La rinascita, sceglie per questo suo secondo capitolo un approccio più maturo e meno bambinesco, supportato da una confezione raffinata che investe tutto sulla caratteristica impronta inglese.

    A partire dalla regia, affidata a un autore dal tocco elegante ma leggero quale Oliver Parker (Othello, St. Trinians, Dorian Gray) che succede al più neutro Peter Howitt rendendo evidente la volontà di assicurare al prodotto un target maggiormente esteso e adulto, svincolandosi dalla mera parodia per cercare una propria identità di genere, più vicina – fin dall’impianto più strutturato della trama – ad una spy-comedy della saga di Jason Bourne. Il tutto corroborato da una spettacolarità a tutto tondo che unisce effetti speciali, ritmo incalzante, location suggestive e dispiego a profusione di mezzi. Allo stesso modo, si emancipa pure la comicità, costruita sempre sul contrasto tra l’iconicità dell’agente invincibile e fascinoso e l’imbranataggine goffa e cialtrona del protagonista (che comunque riesce a portare a termine la sua missione, seppur in modo buffo e anticonvenzionale) laddove però, alla gag fisica da slapstick si sostituisce uno humor di situazione – mai volgare o sboccato – che scaturisce dalla contrapposizione tra l’aplomb richiesto dalle circostanze e l’innata propensione al gaffe del nostro. Purtroppo, nonostante l’apprezzabile ambizione ad alzare il tiro, restano i limiti di un’operazione confusa e squilibrata: per quanto valide in sé, la resa delle due componenti – action e brillante – non riesce mai ad amalgamarsi in un disegno coerente. Un po’ come tenere i piedi ben calzati ma in scarpe di diverso modello: così come la camminata, anche la resa del film finisce per arrancare, troppo blanda e prevedibile per avvincere con la storia di spionaggio, troppo poche le risate per divertire con la commedia.

    CATERINA GANGEMI

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