Dal nostro inviato ALESSANDRO ANIBALLI
Ascolta l’intervista di RADIOCINEMA ad uno dei protagonisti del film:
Fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia arriva Giochi d’estate di Rolando Colla, un film quasi alieno dal contesto del consueto cinema italiano. Raccontando infatti la storia di formazione di due dodicenni nel corso di un’estate passata in Toscana in riva al mare, Colla adotta uno stile fatto di mezzi toni e di ellissi narrative e visive che sembrano figlie di certo cinema francese dedicato agli adolescenti. E la conferma di un percorso maturato lontano dalla grossonalità di alcuni nostri esempi di teen movie viene dalla biografia di questo regista, nato in Svizzera da emigrati italiani, e attivo da diversi anni nel campo dell’audiovisivo tra la stessa Svizzera, il Belgio e la Francia. Con l’occasione di Giochi d’estate, al contrario, Colla per la prima volta si avvale di una produzione in buona parte italiana, grazie all’intervento di Amedeo Pagani. Ne nasce un film costruito sulla sensazione di una a-temporalità estiva, come alle prese di una perenne domenica pomeriggio, dove nulla accade. In realtà i personaggi si muovono, si conoscono e si scontrano, fino a un leggerissimo crescendo che vede alla fine il confronto tra Vincenzo (interpretato da un ottimo Antonio Merone) e suo figlio Nic nel segno della violenza e del rapporto con le donne. Il padre di Nic infatti è un povero disgraziato incapace di relazionarsi con gli altri e che dunque trova negli atti violenti contro la moglie un modo vigliacco per verificare il suo essere al mondo. Suo figlio invece guarda al genitore con odio e amore, ma allo stesso tempo è tentato di replicarne le primitive meccaniche relazionali con una coetanea francese di cui si è innamorato.
Il discorso simbolico di Giochi d’estate è solido e preciso e fa riferimento a una visione del mondo ristretta e quasi animalesca di una classe sociale che un tempo si sarebbe detta proletaria e che oggi vive nella marginalità assoluta, priva di ogni punto di riferimento. Con un comprensibile ottimismo della volontà allora, Colla vede nei ragazzi l’unica possibilità di migliorare e di migliorarsi, ma paradossalmente è proprio lì che va trovato il limite maggiore del film. Si ha infatti l’impressione che il regista abbia avuto delle difficoltà a lavorare con loro perché li si vede a tratti troppo rigidi nella recitazione. A volte è colpa di una battuta troppo “scritta” che non regge in bocca a un bambino, altre volte invece traspare l’evidente ricorso al doppiaggio in studio, soprattutto all’inizio, chiaramente per salvare delle battute che non funzionavano in presa diretta; insomma è qui il vero difetto di Giochi d’estate: in un’insicurezza del set che traspare vedendo il film finito ed è un peccato, visto che la storia doveva reggersi proprio sulla spontaneità dei ragazzi.