Il debito

04/08/11 - Interpreti tanto bravi da stridere con un film privo di forma narrativa, banale e sciatto nel suo dipanamento. Dov'è il cinema?

Nomi di tutto rispetto connotano la produzione de Il debito, dal cast di attori internazionali – dai veterani Helen Mirren e Tom Wilkinson alle nuove promesse Jessica Chastain e Sam Worthington – dagli sceneggiatori Matthew Vaughn e Jane Goldman, al regista John Madden. Non sempre questo è sinonimo di garanzia. Anzi, spesso è fumo negli occhi. E Il debito ne è una valida prova. Farraginosa spy-story che ricorda un brutto romanzo di un pessimo imitatore di John Le Carré, il film è l’ennesimo remake americano di un prodotto estero, in questo caso israeliano – Ha-Hov di Assaf Bernstein.

Nella trasposizione americana vengono rispettati tutti i cliché del genere che ricorda la struttura ellittica dei film sulla guerra fredda degli anni Sessanta, ma dei quali viene snaturata l’essenza. Il titolo si riferisce ad una menzogna raccontata da tre giovani ebrei del Mossad sulla fine di un ginecologo, ex scienziato nazista che compiva sperimentazioni a Birkenau. I tre, due uomini e una donna, devono rapire l’uomo nelle Berlino Est del 1965, e consegnarlo al governo israeliano per processarlo, ma qualcosa va storto e devono trovare una soluzione. Trent’anni dopo la donna è costretta a risolvere la questione. Una sceneggiatura tagliata con l’accetta che non concede mezze misure, ombre e sfumature ai protagonisti di una vicenda che a livello narrativo non prende corpo, a livello morale non ha una sua funzione e alla fine sfocia in un grand guignol imbarazzante ed eticamente improponibile per il suo finale ipocrita e troppo comodo. A voler essere buoni, si potrebbe catalogare, la pellicola di Madden come un qualcosa di caotico, di cui si è perso di vista il punto focale della vicenda, ma a essere onesti si tratta di un film superficiale e posticcio in cui i nazisti sono cattivi perché sono nazisti, la politica e il potere israeliano non vengono neanche spiegati e la guerra fredda messa in scena ha lo stesso spessore dei fatiscenti appartamenti dell’Europa dell’Est ricostruiti dalle produzioni cinematografche occidentali.

John Madden che si era prodigato senz’altro meglio in uno dei meno riusciti episodi di Prime Suspect, in questo caso si concentra molto sulla patina illustrativa (anche piuttosto banalizzata) degli anni Sessanta e Novanta e non lascia traccia di una qualche forma di scelta registica, tanto che il grande cast di attori lasciato senza una direzione va per conto proprio, riuscendo a creare un minimo di empatia con i personaggi ma non a prosciugare e uniformare. Helen Mirren e Jessica Chastain, che interpretano la protagonista, rispettivamente da anziana e da giovane, sono meravigliose, trasmettono al loro personaggio un valore etico e psicologico minuzioso e aggiunto. Ma la loro recitazione è talmente bella che a vederle in questo film viene da pensare a che sarebbe successo se Marcel Proust avesse impiegato il suo talento per scrivere bollettini meteo, invece che Alla ricerca del tempo perduto. Che è ciò che tutti coloro che hanno visto questo film vorrebbero riavere indietro.

ERMINIO FISCHETTI

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