Dalla nostra inviata Giovanna Barreca
Ascolta le interviste di RADIOCINEMA ai protagonisti del film:
Mark Olexa è un ragazzo svizzero che ha realizzato Heart-Quake come suo lavoro di diploma alla scuola di documentario Zelig. Seguendo l’operato dei volontari dell’associaione ASVI si è imbattuto in una storia di degrado, ignoranza e dolore “una storia di un’umanità cruda, di fronte alla quale ogni forma di giudizio viene sospesa” dichiara l’autore che rende protagonista del documentario una donna che anagraficamente ha 26 anni ma si muove, respira, parla come una donna ormai vecchia e rassegnata ad un’esistenza con delle regole arcaiche. Shpresa ha già cinque figli e vive in una zona rurale del Kosovo e quando il più piccolo delle sue creature, affetto dalla sindrome di down, viene portato all’ospedale Niguarda di Milano per essere operato, lei prima lo segue amorevolmente ma poi, per volontà del marito che minaccia di uccide gli altri 4 figli se lei farà presto ritorno, lo abbandona alla cura delle donne dell’associazione. Analfabeta, sola e senza una vera e propria coscienza di sé accetta tutto quello che altri decidono per lei. Come le volontarie nel doc e confessiamo il pubblico in sala, la donna provoca sentimenti pietà e rabbia allo stesso tempo. Il doc termina con il viaggio dei volontari che, ad operazione conclusa, riportano il bimbo a casa, tra braccia che non ci sembrano sicure o pronte ad accogliere davvero quella creatura bisognosa d’affetto e di attenzioni. Quando la macchina a mano di Olexa mostra Shpresa che fa il bagnetto al bimbo, che lo accarezza sembra che tutto sia ancora sospeso. Quel che ferisce è che non c’è un’evoluzione in lei, una presa di coscienza e forse è anche per questo che quando il doc è terminato, qui a Siena c’è stato un momento di perplessità in sala; non si poteva immaginare che il film finisse con questa donna rimasta nello stato d’animo iniziale. Che il racconto di quel percorso si concludesse. Sin dall’inizio era chiaro l’intento del regista di narrare e seguire con discrezione la vicenda della donna ma quello che colpisce maggiormente è stata la sua capacità di tenere sempre tutta la narrazione in un’atmosfera autista e assorta.
Nicola Bellucci invece ci invita a immedesimarci in profondità con la psicologia del suo personaggio per coglierne l’essenza vera e straordinaria di uomo divenuto cieco a 23 anni e che consapevolmente ha abbandonato una vita agiata – prodotto di un lavoro redditizio – e si è rifugiato in un piccolo paese delle campagne del Casentino a occuparsi dei bambini che l’handicap ha reso incapaci di esprimerci. Wolfgang trova nella musica il modo per farli interagire con lui e per migliora i rapporti dei bimbi non solo con la famiglia ma con la comunità nella quale Wolfgang vuole che vengano integrati. Importante la dialettica tra scene diurne e crepuscolari. Le prime tra i ragazzi, nella scuola, nella sua casa piena di strumenti dove deve dominare la sicurezza di sé e la capacità di trasmettere agli altri, le seconde nella campagna con un cane ormai troppo vecchio per guidarlo sono quelle del pensiero e della riflessione. I dialoghi sono sempre essenziali sia quando si racconta il percorso umano sia negli incontri. Per una volta la natura umana, lo stretto rapporto con gli animali e i loro suoni ha la meglio sulla cultura dell’ignoranza e dell’isolamento sembra volere essere il messaggio del documentarista toscano trasferitosi in Svizzera da diversi anni. Nel 2011 ha portato a termine anche il documentario Tiezzi’s Boccanegra.