Ci sono attori e attrici, apparsi in un solo ruolo anche marginale, destinati però a restare nella memoria collettiva e a segnare capitoli fondamentali, se non della storia del cinema, quantomeno della storia del costume del nostro paese. Anna Longhi, scomparsa a 76 anni, è una di loro. Un’icona cinematografica, status condiviso con la collega Rossana Di Lorenzo, due volti della stessa immagine boteriana di “moglie italiana” che Alberto Sordi aveva scelto come incarnazione delle umili, paciose (e forse pavide) ambizioni di un tipo nazionale. Moglie-carne, moglie-madre, moglie-ruolo, moglie-subordinazione: il compendio di un preciso desiderio di conciliazione popolaresca, l’orgoglioso ritorno alle tiepide certezze della scodella di spaghetti dopo essersi confrontati con l’alterità più lontana dell’arte concettuale e delle nuove generazioni. Su questo si reggeva l’episodio “Le vacanze intelligenti” che Alberto Sordi girò per il film collettivo Dove vai in vacanza? nel 1978, la prima opera in cui Anna Longhi apparve come attrice casuale, secondo un percorso consueto per molti caratteristi del nostro cinema. Sarta di scena per precedenti film di Alberto Sordi, Anna Longhi fu scelta probabilmente per la sua fresca ingenuità di attrice non professionista, e soprattutto per la sua florida corporatura, andando a ricoprire un ruolo già in parte definito da Rossana Di Lorenzo in altre due precedenti occasioni sordiane (tanto che, nella memoria del pubblico, è probabile che la loro identità individuale tenda a sovrapporsi in un’unica immagine). Vagando per l’Italia secondo un itinerario scelto dai loro figli, la coppia di fruttaroli svaria da un concerto di musica d’avanguardia alla Biennale di Venezia, dove la povera Longhi viene scambiata per una scultura vivente, confusa in mezzo alle installazioni più criptiche e ardite. Infine, il ritorno ai maccheroni di casa, a cui si piegano anche i figli di ispirazione hippy.
Incarnazione del più tipico, retrivo scetticismo sordiano verso la modernità, l’episodio resta l’unica vera occasione cinematografica di Anna Longhi, che tuttavia la consegna alla storia dei tipi umani più forti dello scorrere del tempo. La moglie “buzzicona” ce la ricorderemo tutti, per la sua serena (e discutibile) accettazione del proprio ruolo, per il suo sconcerto di fronte a un mondo così vicino, eppure così diverso. Di caratteristi dalla forte impronta macchiettistica è pieno il nostro cinema tra gli anni ’70 e ’80, ma sarebbe un errore annoverare Anna Longhi tra di essi. Anche perché, soprattutto, la Longhi non fu mai una macchietta, bensì una “figura fisica”, un tipo scelto sulla base di una precisa ricerca iconografica. E perché portò sempre in scena più o meno solo se stessa, come continuò a fare nelle sue successive, sporadiche partecipazioni in piccoli ruoli, di nuovo nei panni della moglie di Alberto Sordi nel dittico Il tassinaro (1983) e Un tassinaro a New York (1987), e anche in produzioni internazionali, come Il talento di Mr. Ripley (1999) di Anthony Minghella, e nelle numerose partecipazioni televisive fino ai suoi ultimi giorni. Donna-simbolo, dunque: incarnazione di modelli psichici e comportamentali del cosiddetto “maschio italiano” (speriamo di qualche tempo fa), in forma bonariamente comica e popolare.