Dal nostro inviato ALESSANDRO ANIBALLI
La vittoria decretata dal pubblico del Far East a un film come Aftershock di Feng Xiaogang sorprende e deve far riflettere. Considerando poi che il secondo film più gradito dal pubblico del festival dedicato al cinema dell’Estremo Oriente è stato un’altra opera cinese, Under the Hawthorn Tree, diretta da un regista della vecchia guardia come Zhang Yimou, si ha il quadro del trionfo di un cinema irregimentato. Il tentativo manifesto da parte delle produzioni cinematografiche mandarine di rincorrere il modello hollywoodiano, seppur ben lontano dalla perfezione, riesce ad avere evidentemente già ora un innegabile appeal. E non deve essere un caso che, a conti fatti, Aftershock si sia dimostrato il film dal più forte impatto emotivo di tutto il festival, sia pur con meccanismi che sono sembrati ricattatori: la messa in scena di due terremoti che hanno travagliato la storia cinese degli ultimi trent’anni può essere detestabile quanto si vuole per come insiste sul patetico e sul catastrofico, però è innegabile che si fa forza del crisma dell’universalità.
Su tutt’altre atmosfere si muoveva invece un autentico capolavoro del cinema hongkonghese proiettato solo in chiusura della 13/a edizione del Far East, The Drunkard di Freddie Wong. Adattamento di un racconto dello scrittore Liu Yichang che è stato anche fonte d’ispirazione per Wong Kar-wai sia in In the Mood for Love che in 2046, The Drunkard è un’amara riflessione sul rifiuto nei confronti della cultura, e della letteratura in particolare, da parte di una società solo impegnata a inseguire il benessere. Il film di Freddie Wong, ambientato in una sonnambolica Hong Kong degli anni Sessanta, racconta la malattia dello scrivere e del vivere di uno scrittore ossessionato dal vizio dell’alcol. E, come l’ultima sigaretta de La coscienza di Zeno, il bere diventa qui simbolo dell’incapacità di cambiare e di imporsi una disciplina da parte di un uomo vittima di se stesso e della comunità in cui vive. Il punto di vista straordinario che impone Wong è perciò proprio quello dello scrittore, in una soggettiva deformante cui lo spettatore è invitato a identificarsi; si procede dunque come “vagando” tra i miasmi dell’alcol in un indefinito leopardiano che diventa l’a-sostanza stessa dell’esistere. E, passando attraverso un costante stato di intorpidimento visivo e narrativo, si assiste con The Drunkard alla rivelazione di un autore come Freddie Wong che non è sbagliato mettere sullo stesso piano di grandi cineasti hongkonghesi come Stanley Kwan e lo stesso Wong Kar-wai.
In fin dei conti la linea dominante della 13/a edizione del Far East Film si è giocata proprio sul confronto costante tra la cinematografia della Cina continentale e quella hongkonghese. Se da un lato Hong Kong con la sua professionalità e la sua autorialità ancora insuperate ha dimostrato di poter continuare a dare delle lezioni di cinema a tutti (anche e soprattutto a certo asfittico cinema occidentale sia action che autoriale), dall’altro però il cinema mandarino, con il suo enorme strapotere economico, si impone ormai come dominus di tutta l’Asia e non dovrebbe essere lontano il giorno in cui si parlerà di una Hollywood cinese. Il punto in tutto ciò resta sempre e comunque il poter e il dover fare i conti con le regole del regime, della propaganda e della censura e finora la maggior parte dei cineasti cinesi continua forzatamente – e vista la situazione politica non potrebbe andare in altro modo – a rimandare quel momento.