Dalla nostra inviata Giovanna Barreca – foto di Dino Panato
Summer Pasture di Lynn True e Nelson Walker, dall’inizio è apparso come un film degno della competizione internazionale perchè in grado di raccontare una storia orientale giocando con i canoni del cinema occidentale anche perché le origini, le estrazioni sociali e il percorso accademico-cinematografico dei due autori godono di entrambe le influenze regalando al lavoro una freschezza e originalità rare. Anche la giuria deve aver colto in questa storia sulle tradizioni pastorali tibetane quest’aspetto tanto da assegnare la Genziana d’oro dichiarando: “Vivere con i nomadi attraverso le stagioni ci ha mostrato che le sfide e le ricompense della vita sono universali”. Tradizione che tutti i giorni deve scontrarsi e cercare un punto di conciliazione con la modernità che incombe anche tra queste montagne così aspre ma allo stesso tempo affascinanti”. Continuare con il nomadismo o permettere alla piccola Jiatomah, figlia di Yama e Zachukha di vivere in una città e poter iniziare una vita diversa?
Secondo importante riconoscimento, il Premio della Giuria (composta dall’alpinista, regista e autore americano David Breashears, dalla talentuosa Marianne Chaud – vincitrice a Trento due anni fa con Himalaya, terre des femmes – Leena Pasanen, giornalista finlandese e membro del consiglio direttivo del Forum IDFA, il regista Andreas Pichler e dal reporter Giorgio Fornoni) è stato assegnato a Into Eternity del danese Michael Madsen. Anche qui, come nel film di Werner Herzog, le sconvolgenti conseguenze di alcune scelte fatte dagli uomini che giocano con l’ecosistema: “Mette in discussione i limiti della nostra abilità di comprendere il futuro e la capacità di mantenere il controllo di forze che abbiamo scatenato con la nostra civilizzazione altamente tecnologica” precisa la motivazione. Sicuramente si tratta di questioni che, come precisa la giuria, dovrebbero essere priorità di tutti gli stati mettere sul tavolo delle urgenze planetarie perché sconvolgenti prese di posizione assunte pur di portare avanti un piano energetico a senso unico, avranno conseguenze catastrofiche per le generazioni future. La macchina a mano che ci permette di attraversare quest’enorme galleria in costruzione all’interno della roccia, messa in contrasto con il suolo sovrastante fatto di un bosco ricoperto da neve bianchissima, quasi accecante, e poi le testimonianze raccolte esaltano anche la qualità registica della pellicola.
La pellicola Happy People – a Year in the Taiga di Dmitry Vasukov che ha visto Werner Herzog nel ruolo di produttore, narratore e sceneggiatore si è aggiundicata il premio museo, usi e costumi della gente trentina perché “propone con assoluta efficacia la vita solitaria dei cacciatori di pelli della taiga siberiana quale metafora di una condizione umana primordiale e senza tempo, a contatto con i ritmi delle stagioni e della natura, in un prezioso documento etnografico che per la sua attenzione al dettaglio della cultura materiale, e per la sua convincente elegia dell’uomo cacciatore, sarebbe certamente piaciuto tanto al nostro Šebesta che a Mario Rigoni Stern”.
Genziana d’argento al miglior contributo tecnico-artistico è stata assegnata a Declaration of immortality del polacco Marcin Koszalka per l’innovativo metodo realizzativo che ha visto la presenza di differenti aspetti del linguaggio cinematografico per creare un ritratto inquietante: attraverso la composizione, la scelta delle location e della luce, ci rivela la solitudine di uno scalatore professionista, la sua lotta contro l’invecchiamento e la sua stessa mortalità”.
A seguire alcuni degli altri riconoscimenti delle giurie indipendenti:
La Genziana d’oro del Club Alpino Italiano per il miglior film di alpinismo premia, ha premiato The Asgard Project di Alastair Lee perché secondo la giuria: “ha saputo cogliere il cameratismo e l’umorismo del team di alpinisti guidati dal britannico Leo Houlding, nel corso di una ascensione sulle vette dell’Isola di Baffin”. Mentre il ”Premio “Luciano Emmer” assegnato da Silvio Danese e dal direttivo nazionale Sngci a Il popolo che manca di Andrea Fenoglio e Diego Mometti perché “come in un impeccabile reportage ricostruisce con le immagini di fabbriche abbandonate, ruderi dell’abusivismo edilizio, relitti di capannoni commerciali, borghi in rovina, il racconto, spesso carico di amarezza, dei contadini e montanari del cuneese – ma anche dei loro discendenti – strappati alla terra dal sogno dell’industrializzazione. Un documento prezioso che fa riflettere sulla scomparsa e la conseguente assenza fisica e spirituale della civiltà contadina grazie alle centinaia di interviste raccolte negli anni 70 con spiccato senso giornalistico dallo scrittore Nuto Revelli. E proprio attraverso quel Nagra, Revelli restituisce l’emozione e la suggestione di un’epoca attraverso un dialetto che richiede addirittura i sottotitoli, intrecciandone la testimonianza con volti, luoghi e parole di oggi”.