Dal nostro inviato ALESSANDRO ANIBALLI
Come da tradizione, uno spazio importante della programmazione del Far East è dedicata a retrospettive, focus e omaggi che intendono ripercorrere aspetti e personaggi meno noti delle varie cinematografie asiatiche. Questa 13/a edizione è stata dedicata da un lato alle commedie pan-asiatiche e dall’altro ai pinku eiga, un genere erotico che, al contrario di quanto avviene in altre cinematografie, ha un ruolo di rilievo nel panorama del cinema nipponico. Asia ride, questo il titolo dato alla retrospettiva dedicata alle commedie asiatiche, ha offerto uno sguardo d’insieme sulle forme che il linguaggio comico ha assunto nel corso degli anni in diverse cinematografie. I curatori hanno dovuto fare necessariamente delle scelte, selezionando uno o due film dalle cinematografie più marginali (Singapore, Taiwan, le Filippine) e privilegiando invece paesi con una tradizione cinematografica più consolidata. Ecco che le scoperte più interessanti si sono rivelate la figura di comico-cineasta dell’hongkonghese Michael Hui e il piccolo focus dedicato alla commedia cinese.
Michael Hui è senza dubbio il comico di maggior rilievo del cinema di Hong Kong prima dell’arrivo di Stephen Chow (Shaolin Soccer, 2001). Qui al festival è stato possibile vedere quattro suoi film. Il primo, The Warlord (1972), solo interpretato da Hui, è un interessante ritratto di un Signore della guerra nei primi anni del Novecento, quando la Cina visse una fase di divisioni e guerre civili. A tratti biopic, a tratti exploitation, a tratti anche divertente, The Warlord merita attenzione soprattutto perché, sia pur sotto forma di farsa, esprime il desiderio di una Cina unita e dunque all’epoca entrava nel pieno della temperie degli anni Settanta e delle questioni diplomatiche all’ordine del giorno (avvicinamento tra Cina comunista e Stati Uniti, la difficile situazione di Taiwan e Hong Kong). I due film successivi, Games Gamblers Play (1974), dedicato al gioco d’azzardo, e The Private Eyes (1976), parodia del mondo dei detective, sono diretti dallo stesso Michael Hui e (soprattutto il secondo) si presentano come una mirabile e frenetica sequela di gag. La capacità di Hui pare essere quella di riuscire a scavare fino in fondo all’interno di una situazione, esaurendo tutte le gag possibili e immaginabili: basta un luogo, una sala cinematografica ad esempio, per andare avanti anche un quarto d’ora. Tra tutti però forse Chicken and Duck Talk (1988) è sembrato il più convincente perché qui, oltre al consueto dispiegarsi di numerose situazioni comiche, appare anche una critica del fast food americano a favore del cibo tradizionale hongkonghese. In questo caso Hui è riuscito a cogliere uno dei segni fondanti del decennio degli Eighties: l’avvento su scala mondiale del cibo pre-confezionato e la progressiva scomparsa del prodotto locale.
Di gran lunga inferiori sono parsi invece i tre film cinesi di Asia ride: Labor’s Love (1922) di Zhang Shichuang, Mr. Wang Got a Meal Hardly (1939) di Tang Jie e Tomboy (1936) di Fang Peiling. Tutti e tre, chi più chi meno, rincorrono esplicitamente il modello americano dell’epoca, senza averne però le competenze tecniche e artistiche. Labor’s Love è uno sbiadito approccio allo slapstick, Mr. Wang Got a Meal Hardly cerca di ripercorrere in stile Frank Capra le disavventure di un uomo medio cinese, mentre Tomboy – forse il migliore dei tre – gioca sull’ambiguità sessuale della ragazza protagonista, prendendo probabilmente ad esempio Il diavolo è femmina con Katharine Hepburn (sempre del ’36). Paradossalmente quel vago e vacuo inseguimento di Hollywood non ha troppe differenze da quanto cerca di fare anche oggi la produzione cinematografica cinese. A settanta, ottanta anni di distanza il cinema mandarino sembra perciò essere ritornato al punto di partenza.
L’altro segmento di retrospettiva della 13/a edizione del Far East Film ha invece delle caratteristiche che si potrebbero definire esclusive. Il pinku eiga è un genere tipicamente giapponese; questi film non sono davvero dei porno e molto spesso l’erotico vale solo come scusa per parlare d’altro. Non solo, il pinku è assolutamente connesso alla produzione cinematografica maggiore. Molti registi poi diventati famosi con altri generi cinematografici hanno esordito in questo campo; basti l’esempio di Yojiro Takita, premio Oscar del 2009 con Departures, qui presente con un tipico pinku anni Ottanta (High Noon Ripper). Ne consegue che spesso nei pink è ravvisabile in nuce la poetica di un regista poi diventato adulto (ad esempio Lead Tombstone del 1964 di Koji Wakamatsu, il più grande cineasta dissidente della storia del cinema giapponese) e che l’erotico sovente si mischia ad altri generi, come il thriller, il poliziesco, la commedia.