(Flussi seriali – Percorsi e influenze odierne e vintage delle serie americane a cura di Erminio Fischetti)
“Più clinico di E.R., più cinico di Ally McBeal, più piccante di Sex and the City, più frizzante di Friends“, questo recitava il lancio pubblicitario della serie ideata da Bill Lawrence nel 2001. E così è stato. Perché Scrubs – Medici ai primi ferri in fondo in fondo è quasi una sintesi di tutte queste serie per come mescola temi, vita personale e lavorativa dei suoi protagonisti, per come racconta le amicizie e il passaggio delle generazioni. Scrubs – Medici ai primi ferri mette in luce così le vicissitudini di alcuni medici alle prime armi e va a definire proprio quel passaggio della crescita che avviene fra la fine dei banchi di scuola e l’ingresso nel mondo del lavoro. E per J.D. e i suoi amici il tempo di entrare nell’età adulta è ormai arrivato con tutti i problemi e le conseguenze del caso.
Andata in onda per le prime sette stagioni sulla NBC e le ultime due sulla ABC, Scrubs è stata una hit di pubblico e un must generazionale fondamentale per il pubblico degli anni Duemila (dal 2001, qualche settimana dopo l’11 settembre, fino al marzo 2010), i cui personaggi in qualche modo rappresentano le caratteristiche di questo decennio appena trascorso fatto di ansie e insicurezze. Il mondo è cambiato rispetto al yuppismo degli anni Ottanta e Novanta ed è evidente nella scrittura di Lawrence che presenta personaggi sempre più nevrotici, che lavorano fra tagli economici e di bisturi in un ospedale “governato” da un medico narcisista e meschino come Bob Kelso che aveva fatto il suo tempo decenni prima. Interessante è l’aspetto meta-televisivo con il quale la forma del testo seriale gioca con i cliché e i riferimenti alle serie avversarie, in particolare i medical drama come Dr. House, E.R., Grey’s Anatomy citandole e ironizzando su di loro. Ma la chiave vincente di Scrubs resta e resterà sempre quell’equilibrio fra ironia e malinconia con la quale il protagonista J.D., che è anche la voce narrante, vede la sua vita e quella di coloro che lavorano e passano per l’Ospedale Sacred Heart, un posto dove l’umanità, e quindi il cuore, è stato bandito e il cui uso resta discrezionale. Fondamentale in tal senso la sensibilità dell’azzeccato Zach Braff, che interpreta il ruolo di J.D. con simpatica discrezione e avvalorando dentro e fuori lo schermo il suo sguardo “indie” passando dietro la macchina da presa con quel piccolo capolavoro de La mia vita a Garden State del 2004.
Forse Lawrence però fra E.R., Ally McBeal, Sex and the City guarda con occhio più ammiccante a Friendsperché di quella serie ne diventa, in qualche modo, l’erede (anche se anagraficamente e per schemi narrativi lo è E alla fine arriva mamma!) per le dinamiche dei rapporti affettivi, forse per le battute lampo, per la cocente irriverenza con la quale tratta in pochissimi minuti temi e storie. Ma a lungo andare si rivela più sarcastico, cinico e commovente proprio perché rispetto ai più vacui anni Novanta i tempi sono cambiati e la comicità tout-court non può andare a toccare solo le caratteristiche psicologiche dei personaggi, ma anche quelle sociali e morali di un popolo che non può più considerarsi la prima potenza mondiale al mondo.
Titolo originale: id.
Creatore: Bill Lawrence
Cast: Zach Braff, Sarah Chalke, Donald Faison, John C. McGinley, Ken Jenkins, Judy Reyes, Neill Flynn, Christa Miller
Produzione: USA 2001-2010
Durata: 24′ circa (9 stagioni; 182 episodi)
Distribuzione originale: NBC dal 2/10/01 al 08/05/08; ABC dal 06/01/09 al 17/03/10
Distribuzione italiana: MTV/Fox