(Dalla nostra inviata Lia Colucci)
16/02/11 – L’ultimo film visto in concorso A Torinòi Lò (The Turin Horse) diretto dal grande regista ungherese Béla Tarr, ha un lungo prologo. Si narra che il grande pensatore tedesco Friedrich Nietzsche a Torino, il 3 gennaio 1889, uscendo di casa si sia imbattuto in un conduttore di calesse, che di fronte al suo cavallo recalcitrante a muoversi, lo abbia picchiato a sangue nonostante le suppliche accorate del filosofo. Dopo questo episodio si racconta anche che il filosofo sia rimasto sul divano tre giorni e passato poi gli ultimi dieci anni della sua vita in stato di totale demenza accudito dalla madre e dalle sue sorelle. Noi non sappiamo quello che è successo al cavallo. Con queste parole, che probabilmente sono solo una favola suggestiva, Béla Tarr apre il suo film, raccontandoci sei giorni della vita di quel cocchiere e di sua figlia.
Sei giorni di una desolata casupola fatta di pietra, e di una stalla dove giace un misero carretto e l’unico, malandato, cavallo. Il tempo sempre uguale a se stesso cadenza la vita dei due personaggi: la raccolta dell’acqua nel pozzo, il misero pasto a base di patate, le piccole bevute del pessimo liquore locale. Unico diversivo la passeggiata a cavallo del vecchio padre nella pianura ventosa.Passeggiata che si interrompono quando il cavallo si ammala, smette di mangiare e di bere e non è più in grado di sostenersi. Un film straziante e dalle riprese meravigliose, tutte in bianco e nero, dove il regista ruba alla migliore tradizione pittorica e fotografica del secolo appena passato. Quindi il vento che rende ancora più affascinanti le inquadrature, quasi un film nel film, un soffio costante che agita gli alberi le foglie e le persone rendendole fragili e in balia degli eventi. Seguono i lunghi silenzi e i primi piani nostalgici e poetici che trasudano rassegnazione e dolore, le piccole abitudini che vengono ritratte con semplicità, umiltà e senso del sacrificio. Quando il pozzo si svuota e non c’è più acqua, anche in questo frangente la rassegnazione prende il posto il posto dello sconforto.
Una regia magica fatta di pochi ingredienti narrativi ma sublimata da una qualità eccelsa, dfatta di particolari sublimi e di una recitazione scarna ma suggestiva. Un film splendido che vede il grande Béla Tarr al massimo del suo potenziale poetico e creativo. Un film che nasce da una quasi favola e finisce in una realtà che potrebbe continuare all’infinito.