Diario del 14 febbraio dalla 61. Berlinale
(Dalla nostra inviata Lia Colucci)
15/02/11 – La quinta giornata del Festival di Berlino si è aperta con un bel film in Concorso, disincantato e purtroppo realista, del regista russo Alexander Mindadze: Innocent Saturday. E’ un sabato di aprile del 1986, uguale a tutti gli altri sabati a Chernobyl, con due piccole differenze: oggi ci sarà una festa di matrimonio dell’amico di Valery Kabysh (Anton Shagin), che oltre a essere un batterista e anche un piccolo membro del partito locale, e qui arriva la seconda differenza. Valery saprà infatti prima degli altri che una torre del reattore della cittadina è scoppiata, e mentre i burocrati negano disperatamente, lei cercherà invano di avvertire gli amici e la fidanzata. Ma nessuno gli crede, mentre il ritmo vorticoso della festa sembra coinvolgere tutti, sia i membri della band che la ragazza di Valery, che ne è la cantante.Tra una ubriacatura e l’altra tutto sembra essere dimenticato e si respira un clima di finta allegria, anche perché qualche notizia intanto è trapelata e il vecchio reattore in fiamme è oramai visibile a tutti. Dopo una notte di baldoria i giovani compagni della band e Valery si troveranno la mattina proprio sotto il reattore di Chernobyl, con l’ironia e il nichilismo di chi ormai, contaminato, non ha più nulla da perdere. Un film denuncia – per ricordare che solo dopo 36 ore cominciarono le prime evacuazioni – ma anche un film ironico che riesce a penetrare con sarcasmo la disarmante burocrazia del tempo e la cecità ostinata della gente comune. Girato con un ritmo incalzante, fatto anche di continui cambi di umore e di ritmi psicologici,con Innocent Saturday il regista e i suoi personaggi ci hanno regalato un soggetto grave con una certa levità.
Ma tutta l’attenzione della giornata era puntata sul film diretto e interpretato da Ralph Fiennes, Coriolanus, anche lui in competizione. Si tratta di una delle tragedie meno conosciute del grande Shakespeare, ma importante dal punto di vista politico: qui il drammaturgo affronta lo scontro tra patrizi e plebei e il ruolo del potere all’interno di Roma. Fiennes e lo sceneggiatore John Logan seguono quasi pedissequamente la lingua dell’autore inglese e pochi sono i cambiamenti, anche dal punto di vista della trama. Ma la grande magia viene dall’attualizzazione del film, che si condisce di reportage stile CNN, dibattiti televisivi e comizi, senza tradire la storia originaria. La vicenda è praticamente quella a noi nota: Caius Martius (Ralph Fiennes), soldato per antonomasia e più volte ferito in guerra è amato dai patrizi ma non dalla gente comune, che aizzata dai tribuni del popolo Bruto e Sicinio vede in lui solo un despota assetato di sangue e lontano dai problemi del popolo. Intanto alle porte di Roma, ad Anzio, il suo nemico giurato, il comandante dei Volsci Tullus Aufidius (Gerard Butler) sta preparando un attacco proprio a Roma. La battaglia comincia e solo il coraggio di Caius Martius riesce a volgere una sconfitta in vittoria. Tornato nella capitale con tutte le onorificenze, per aver difeso la città di Corioli, si merita anche l’onorevole soprannome di Coriolanus, per la gioia della madre Volumnia (una Vanessa Redgrave meno machiavellica e più ambiziosa e dura che nel testo originale) e della pacifica moglie Virgilia (Jessica Chastain). A questo punto per Caius Martius non resta che divenire Console, così come lo invita a fare il Senatore e mentore Menemio (Brian Cox); ma il popolo si ribella e durante un talk show televisivo organizzato per il futuro Console, aizzata sempre dai soliti tribuni, la gente comune fa incattivire talmente tanto Coriolanus da fargli pronunciare parole irripetibili, e da farlo bandire dalla sua amata Roma. Così l’eroe decide di fare il grande passo: quello di allearsi con Tullus Aufidius al fine di distruggere la città che l’ha tradito. Ma ovviamente la storia non finisce qui, lo sa bene chi ha letto la versione skakeasperiana.
Il tema, di una modernità allarmante, è reso ancora più avvincente dal clima di assoluta aderenza ai nostri tempi. Il film, studiato nei minimi particolari, non lascia niente al caso: ogni ricostruzione, ogni trasmissione riprodotta e ogni dibattito trasuda fatica e bravura. Così come bravisismi sono gli attori, soprattutto la Redgrave nel ruolo della madre ambiziosa che contrasta la moglie che ama il marito in maniera pacifica e lo vorrebbe fuori da ogni conflitto e pericolo. Bellissime anche le battaglie, cruente e piene di ostinato coraggio, ai limiti della fatica umana. Insomma una pellicola felice che ha osato misurarsi con Shakespeare e non è uscita sconfitta. Chissà che qualche Orso non l’aspetti da qualche parte?
L’ultimo film che vi vogliamo raccontare è una commedia deliziosa fuori competizione: Les Femmes du 6ème étage, diretto dal regista Philippe Le Guay. Una vicenda paradossale e molto divertente ambientata nella Parigi degli anni 60, dove Jean-Louis Joubert (Fabrice Luchini) conduce una tranquilla e noiosa esistenza borghese con una moglie indifferente e perennemente indaffarata tra vari parrucchieri, manicure e tè mondani, mentre i figli in collegio sono una specie di piccoli moralisti, apparentemente privi di qualsiasi sentimento. La vita di Jean-Louis cambia quando Maria (Natalia Verbeke) cameriera a lungo servizio, che abita insieme alle altre sue colleghe spagnole (tra cui, nella parte di Concepcion, appare anche Carmen Maura) in una specie di piccolo “residence” al sesto piano di proprietà dello stesso Jean-Louis. Lei lo introduce in questo piccolo mondo fatto di calore, affetto e gioia e l’uomo, viste le condizioni pessime in cui versa lo stabile di questa piccola e armonica comunità, non può che apprestarsi subito a fare le dovute migliorie. Così il nostro protagonista finisce con il frequentare quasi quotidianamente questo mondo fatto di musica gioia e di allegria. Intanto la moglie, che vive tutta assorbita nel suo mondo alto-borghese, mentre Jean-Louis è in allegra compagnia con le sue spagnole per un’ allegrissima paella ,pensa il peggio e lo immagina tra le lenzuola di una snobbissima multimilionaria di cui il marito cura gli interessi economici, così al suo ritorno lo caccia di casa. Felice come non mia, Jean-Louis si trasferisce anche lui al sesto piano: anche se è in una squallida cameretta, è solo e finalmente può fare come vuole. Dopo il collegio, il servizio militare e il matrimonio finalmente è libero e finalmente proprio al sesto piano capisce cos’è una famiglia, cosa sono i sentimenti e anche l’amore, quello che prova per Maria. La cameriera ha però un figlio di otto anni da andare a riprendere in Spagna e così parte per la disperazione del suo amante.
Un film veramente originale, con una sceneggiatura esilarante esaltata dalla lingua spagnola così luminosa e vivace, fatta di battute eccentriche e molto ironiche. L’opera insiste anche sulla concezione di due mondi: uno mesto, ricco e sommamente scontento, privo di sentimenti e scopi, e l’altro povero sì, ma denso di emozioni, di solidarietà, di mete da raggiungere esoprattutto di calore umano. Il regista ci indica un universo simpaticamente al rovescio, dove i veri poveri sono i ricchi e i veri ricchi sono i poveri. Neanche Marx avrebbe avuto tanto ardire.