Flussi seriali – Percorsi e influenze odierne e vintage delle serie americane
Ugly Betty: cronaca di una morte annunciata
(Rubrica a cura di Erminio Fischetti)
20/01/11 – È cominciata col sole ed è finita con la neve. Si sa che una buona serie, anche con un grande cast come in questo caso, se non trova idee originali è destinata a finire mediocremente. La “brutta Betty”, posticcia, con gli occhiali, l’apparecchio ai denti, i vestiti dozzinali e kitsch della giovane assistente del fanfarone playboy Daniel Meade presso la rivista più glamour di New York, Mode, è ormai morta e sepolta dopo una cancellazione repentina, da parte del network ABC, la scorsa primavera. Causa della tragica dipartita, la caduta di ascolti, ma vero motivo è che Betty dopo un po’ non è stata più la stessa. L’idea del prodotto non era certo originale, considerato che si basava su una telenovela colombiana di grande successo intitolata Yo soy Betty, la fea (in Italia trasmessa sulle tv regionali), ma la storia gioca sugli stereotipi, sempre attuali, della fiaba e del sogno che tutte le donne possono aspirare al principe azzurro, persino una bruttarella e sfigata come Betty. Se nella prime due stagioni questo concetto rimane ben cosciente negli sceneggiatori dell’adattamento americano, dalla terza in poi Betty sboccia per perdere la goffaggine e ottenere il successo desiderato, ovvero diventare un redattore. Ed è a questo punto che il meccanismo si arresta, il personaggio prende repentinamente una piega, certo più matura e cosciente di sé, ma il passaggio tradisce gli intenti stessi della narrazione, ovvero evidenziare le qualità negative di una società che bada solo alle apparenze.
Il doppio mondo di Betty, dalla famiglia di immigrati messicani gioiosi e sinceri che vivono nel Queens di New York alla modaiola redazione della patinata rivista dove serpeggiano arrampicatori di tutte le specie animali. A cominciare dalla Wilhelmina Slater – cucita sulla falsariga della direttrice di Vogue Anne Wintour – che lotta con tutte le forze per ottenere il suo posto di direttore della rivista, anche dopo essere stata scalzata dal figlio del proprietario, Daniel. Ripicche, meschinità, sotterfugi e persino un paio di morti misteriose sono alla base della vita nella quale viene catapultata la buona Betty, integerrima nel fare sempre la cosa giusta nonostante la meschinità di colleghi e capi. Ed è così che saprà ottenere quello che vuole. A questo punto, il sogno diventa il successo nella carriera e non quello di trovare l’uomo, anche se nel finale viene accennato, ma mai sviluppato fino in fondo. E tutti i personaggi intorno a lei con la sua influenza si rammolliscono, ovvero diventano più “buoni”, mentre lei diventa più forte e non si lascia calpestare, sempre però con sorriso e bontà cuciti in faccia. Il problema è che di una serie, una volta privata delle caratteristiche principali dei suoi personaggi, rimane ben poco. Se i topoi narrativi di una serie vengono lasciati andare, se i cattivi, costruiti in attraverso una visione a tratti politicamente scorretta, diventano in fondo tutti un po’ buoni, cosa avanza? Il problema non sta tanto in un’evoluzione, quanto in un’involuzione traditrice, che ipocritamente riprende sempre gli stessi modelli. Sembra dire che ce la può fare anche chi non è propriamente nei parametri della bellezza e della fisicità delle riviste di moda, ma in realtà fa passare positivamente il messaggio contrario: bisogna essere fighi per sfondare, non c’è niente da fare!
Titolo originale: id;
Creatore: Silvio Horta;
Cast: America Ferrera, Eric Mabius, Tony Plana, Ana Ortiz, Becki Newton, Michael Urie, Mark Indelicato, Vanessa Williams, Judith Light, Ashley Jensen, Christopher Gorham
Produzione: USA 2006-2010
Durata: 42’ circa a episodio (85 episodi suddivisi in 4 stagioni)
Distribuzione originale: dal 28 settembre 2006 al 14 aprile 2010 su ABC
Distribuzione italiana: Italia 1, Fox Life