Un popolo portato allo sterminio. Bambini strappati alle loro famiglie perché la fondazione filantropica Pro Juventute si era arrogata il diritto di pensare che i bambini fossero più felici se tolti alle loro famiglie Jenisch (nomadi), dimenticando che – come viene sottolineato nel film – la migliore educazione è amare. Istituti privati, famiglie borghesi o contadine, Istituti psichiatrici preferiti a famiglie nomali amorevoli.
Giorgio Diritti in Lubo – in concorso alla 80esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia – racconta la tragedia di centinaia di migliaia di famiglie attraverso lo sguardo di uno di loro, un padre separato da moglie e figli subito dopo aver messo in scena un loro spettacolo di piazza molto apprezzato dalla popolazione locale. Grazie a Il seminatore di Mario Cavatore (ed. Einaudi) il regista ha avuto la base di partenza per scrivere la sceneggiatura, per mettere in scena l’odissea di Lubo tra Svizzera, Germania, Italia per riuscire a scoprire dove erano stati portati i suoi figli.
Vista la partecipazione delle autorità svizzere in questo piano, la Federazione Elvetica ha chiesto scusa al popolo Jenisch ma, nonostante gli sforzi, ancora oggi non si conosce il numero esatto dei bambini coinvolti tra il 1926 e il 1973 in questa campagna “educativa”.
Con il regista Giorgio Diritti abbiamo parlato degli aspetti stilistici dell’opera e quando, come si dice anche nel film, sia necessario intervenire se lo stato mette in atto leggi che generano violenza; quando è lo Stato a sbagliare e ad alimentare la paura del diverso.
Con l’attrice Valentina Bellè del ruolo del suo personaggio (Margherita) nel percorso del protagonista Lubo (Frank Rogowski) che cerca la sua famiglia e, quando la incontra può sognare di costruire un suo futuro.
In sala dal 9 novembre con 01 Distribuzione.
giovanna barreca