L’ultima trasposizione cinematografica del famoso commissario risale al 1958 quando alla regia del giallo Il commissario Maigret venne chiamato Jean Delannoy e a impersonarlo Jean Gabin. Questa lunga assenza dal grande schermo e la voglia di lavorare su un autore molto amato come Simenon ha portato Patrice Leconte a confrontarsi con il romanzo “Maigret e la giovane morta” e a girare Maigret, nelle sale dal 15 settembre. Nel romanzo, ambientato negli anni Cinquanta, Maigret – ormai anziano – indaga sulla morte di una giovane della quale non si sa nulla, neppure il nome perché è stata ritrovata con indosso un vestito elegante al bordo di una strada parigina, trafitta da 7 coltellate. Leconte, con la stampa italiana, ammette che l’incontro con Maigret avvenne già in tenera età ma che solo ora ha trovato il piacere di metterlo in scena perché si è avvicinato di più all’autore, ai suoi silenti, ad emozioni che gli appartengono ora più che nel passato. “Da piccolo avevo una nonna materna, grande appassionata di Georges Simenon e quando finiva un Maigret io lo prendevo e lo leggevo subito dopo di lei. Credevo fosse una forma di lettura facile; invece all’ultimo anno di liceo, il professore di filosofia ci ha detto che avremmo studiato tanti grandi filosofi del passato come Kant, Cartesio ma che il più grande filosofo contemporaneo è Simenon”.
Prima di iniziare a ragionare su quale romanzo trasporre, con lo sceneggiatore Jérôme Tonnerre, Leconte ha deciso di rileggere tutti i romanzi e insieme hanno optato per un libro dall’ambientazione parigina e con un rapporto emotivo molto forte tra i personaggi, un’indagine carica di emozioni e di sentimenti. Per questo la scelta è ricaduta su “Maigret e la giovane morta” uno dei libri dove Simenon stesso è stato più personale, ha regalato al personaggio una maggiore nobiltà. Successivamente è seguito un lavoro importante di scrematura: “Quando ero studente di cinema, Jean Claude Carriére ci ha parlato di adattamento. Aveva lavorato con Luis Bunuel e ci aveva detto che, per una trasposizione, bisognava leggere un libro almeno tre volte e poi chiuderlo e non aprirlo più. Una lezione importante per me che mi ha aiutato a capire che adattare significa adottare, tradurre senza tradire e concedersi quindi delle libertà perché se si resta a servizio del libro e dell’autore si diventa illustratori, non autori”.
Simenon inoltre viene definito dal regista francese il maestro della sintesi perché coinciso e capace di andare subito all’essenziale e propone un esempio: “C’è un Maigret con una scena sotto la pioggia. Un cattivo autore avrebbe scritto del cielo grigio e fatto una descrizione di tre pagine per immergere il lettore nell’atmosfera. Simenon scrisse solo che Maigret era fradicio. Ecco, così ti puoi immaginare tutto il resto. Simenon è così forte e capace che lascia al lettore una parte d’immaginazione”.
Lavorando alla trasposizione era chiaro che avrebbero mantenuto un impianto classico ma il regista precisa: “Non volevo fosse un Maigret polveroso, volevo che fosse molto attuale e vicino ai personaggi”. E, proprio per ottenere tale effetto, il regista francese si affida a Gerard Depardieu e ammette di essersi chiesto a lungo perché nessuno avesse mai chiamato l’attore francese per la parte. Inoltre, parlando del rapporto di Maigret con gli altri personaggi, ammette di aver amato il non rispetto del commissario per le classi superiori: “Non è a casa sua nell’alta borghesia bizzarra ed eccentrica degli anni Cinquanta. Anzi, nei suoi confronti ha un atteggiamento molto provocatorio. È molto più sensibile all’origine delle giovani ragazze sprovvedute che arrivano a Parigi dalla campagna. Si lascia conquistare, si affeziona”. E proprio il suo sguardo sulle giovani provenienti dalla provincia è uno degli aspetti più intensi del film perché vengono descritte nella loro naturalezza, nel loro disagio e nella disillusione che vivono appena si accorgono che Parigi non è ciò che si erano immaginate. Maigret capisce tutto questo e nella giovane Betty rivede molto della figlia ormai scomparsa (un sorriso pieno di malinconia accompagna il suo ascoltare dal bagno la conversazione tra la moglie e la giovane, ospite a casa loro dopo una notte difficile).
Parlando dello scenario, precisa di aver cercato un’ambientazione crepuscolare perché “Maigret è qualcuno che, dopo tanti anni, ha perso il gusto per il suo mestiere. Non ha più voglia, gli viene imposto il divieto del fumo, dell’alcool. Qui è proprio il contrario di un super eroe e tale aspetto lo rende molto umano. Avanza pieno di dubbi, procedo a tentoni, vaga nel buio e ha l’umiltà di riconoscere di non sapere. Il film è come se fosse la sera della vita di Maigret”. E durante tutto il film sembra che il commissario sia più interessato a scoprire chi era la giovane morta che a trovare i suoi assassini. Per ottenere tale effetto crepuscolare, con il direttore della fotografia Yves Angelo hanno utilizzato poche fonti di luce e creato tante zone d’ombra con colori desaturati, vicini al bianco e nero. Anche la musica va nella stessa direzione, raccontando un uomo calmo, pieno di ossessioni e testardo allo stesso tempo.
A fine incontro Leconte ammette di essersi commosso e di considerarlo un dono prezioso quando l’ultimo giorno di set, che è notoriamente triste perché è la fine di una bella avventura vissuta collettivamente, Depardieu ha ringraziato tutta la troupe affermando: “Dopo tanti film con voi ho fatto cinema”.
E ricordando Jean Luc Godard afferma: “Lo considero un creatore essenziale, un innovatore più degli altri autori della nouvelle vague. Ha scardinato le regole del cinema. Scoprendo i suoi film come Fino all’ultimo respiro, ho capito che questo tipo di cinema mi parlava, come se lo schermo si avvicinasse a me. Godard è stato tutto e il contrario di tutto, ed è stato molto importante per la mia formazione”.
Il film Maigret sarà nelle sale, distribuito da Adler, dal 15 settembre 2022 in 160/170 copie.
giovanna barreca