C come classe. C come cambiamenti. C come cura. C come commozione. P come previsioni sbagliate. In L’acqua, l’insegna, la sete – storia di classe, il nuovo film di Valerio Jalongo è protagonista la classe 1E dell’Istituto Roberto Rossellini (istituto professionale per la formazione di tecnici cinetelevisivi) di Roma del 2004. I giovani, tra i quali ci sono diversi ripetenti, vengono scelti per un nuovo progetto: un video-diario di classe che li veda coinvolti – con i docenti della scuola – in un racconto per immagini, con una camera che entra in classe durante le lezioni, nei consigli di classe, nei momenti di svago nei corridoi. Visto il gran numero di bocciati e di studenti che non arrivavano a completare il ciclo di studi presso l’Istituto, l’idea era filmare la classe per 3 anni e poi scoprire, a distanza di 15 anni, i percorsi intrapresi dagli studenti. Un periodo denso quello del passaggio dall’adolescenza all’età adulta dove si completa la formazione di un individuo e si affrontano i cambiamenti più significativi.
Con estremo pudore la macchina da presa di Jalongo va, con il professor Lopez (e con il direttore della fotografia Massimo Franchi, già docente dell’Istituto nel 2004), a cercare e raccontare chi sono diventati Lorenzo, Jessica, Yari, Alessio e gli allora fidanzati Gianluca e Corinna. Scope che tutte le previsioni sui loro possibili percorsi professionali e sentimentali si sono rivelate sbagliate. Nessuno dei ragazzi è impegnato nel lavoro per il quale ha completato (alcuni no) il suo ciclo di studi, nessuno si occupa di cinema ma, come rivela il regista durante la nostra intervista: “tutti i ragazzi hanno avuto dei percorsi umani al di là delle nostre aspettative”. Grazie ai temi in classe svolti dagli studenti e preziosamente conservati dall’appassionato prof. Lopez, ognuno di loro può rientrare in connessione con il quindicenne che era, con i suoi pensieri, con le sue profonde sofferenze di allora per scoprire come, con il passare del tempo, in alcuni casi si siano acutizzate e in altre – per fortuna – siano state affrontare. Alcuni di questi giovani uomini e giovani donne sono stati capaci di accettarle per avere un futuro sereno. Yari per esempio oggi sa prendersi cura di sua figlia come non erano stati capaci di fare i suoi genitori con lui, perdonandosi un passato turbolento pieno di eccessi. Commuove quando ricorda di aver detto in seconda elementare che sua madre vendeva fumo, con tutta l’ingenuità di un bambino, ignoro delle conseguenze.
Dietro al termine cura si nasconde, in una certa maniera, il destino di tutti gli ex studenti del Rossellini: Lorenzo gioca con i bambini come prestigiatore, Jessica che si occupa di anziani, Gianluca pota gli alberi, Corinne gestisce una pensione per cani. E tutti, in un certo modo, ci sono arrivati attraverso l’acqua, l’insegna, la sete.
Il film spinge lo spettatore ad avere un altro sguardo sulla scuola, a fare i conti con quelle previsioni sbagliate e sul perché ciò sia accaduto e continui ad accadere, generando un dibattito sano soprattutto perché coinvolge l’Istituzione scuola, le famiglie, i giovani, la politica e la società tutta che investe tanto per la formazione degli individui del paese. Una scuola che non riesce però a coinvolgere tutti, ad essere realmente inclusiva, non riesce ad essere – come accadeva un tempo – un vero ascensore sociale e un luogo dove l’individuo impara a pensare e non solo a immagazzinare concetti e ricordare nozioni.
Durante la nostra intervista abbiamo discusso con il regista delle promesse non mantenute, del legame tra la storia e i primi versi della poesia di Emily Dickinson che danno il titolo al film, di quali indicazioni avessero guidato l’autorappresentazione degli studenti 15 anni fa e di come sia cambiato il suo sguardo a distanza di così tanti anni.
Il film sarà in sala il 22, 23 e 24 novembre.
giovanna barreca