“Il suo cinema parte da e si sviluppa intorno all’idea che l’essere umano vive in un contesto urbano composto di cemento e metallo, che si estende a dismisura fagocitando spazio e carne umana fino a ridurre l’uomo al solo cervello. La carne si fonde con il metallo, mette in scena cyberpunk devastazioni e abnormi fiotti di sangue e violenze sul corpo al fine di ridefinirlo. Un cinema a suo modo profondamente politico che, già a partire dalla fine degli anni Ottanta, rivendica il diritto all’esistenza, in una dinamica di mercificazione degli individui” afferma la direttrice artistica Roberta Novielli durante la masterclass dedicata al pluripremiato e amato regista Tsukamoto Shin’ya, all’undicesima edizione del Ca’ Foscari short film festival.
In collegamento video il regista giapponese ha risposto a diverse domande sul suo cinema e sulla sua idea di opera filmica; il tutto intervallato da clip che ne hanno raccontato il percorso artistico, con alcune delle sequenze più note e stilisticamente più riuscite dei suoi film (a partire dai primi in 8 mm a soli 14 anni) per permettere al pubblico (molti studenti dell’università presenti) un’immersione nel paesaggio, nei colori e nei personaggi delle sue opere.
Cosa lo forma al cinema? I suoi studi di pittura ad olio, le avventure performative con il gruppo Kaiju Gekijo che lui stesso fonda nel 1985, i movimenti undergound come quello di Terayama Shuji, i manga e le animazione come Gamera e Ultra Q, un generale movimento cyberpunk già diffuso nella cultura nipponica e le specificità del body horror che in Giappone arriva grazie a David Cronenberg. Da tutto questo nasce nel 1987 Le avventure del ragazzo elettrico, citato di recente anche in diverse recensioni perché del rapporto tra carne e metallo presente nel film è fatto anche Titane di Julia Ducournau, vincitore della Palma d’oro all’ultimo Festival di Cannes.
Da questo primo film a tutti i successivi: Tetsuo, Hiruko, il cacciatore di fantasmi, Tokyo first, Bullet Ballet, Gemini, A snake of june, Vital, Haze, Kotoko il regista inizia una disamina, con studi anche sull’opera di Leonardo Da Vinci, sul corpo e, se nei primi lavori al centro c’erano le metamorfosi che riguardavano il corpo, poi lo scontro si sposta tra il corpo e la città che gli sta intorno per poi arrivare – con le ultime opere – ad un interesse per l’interno del corpo umano. Quest’ultimo aspetto di indagine ha comportato anche studi di anatomia: “Aprendo il corpo, noi visualizziamo il cuore, il cervello ma anche lo spirito che può risiedere in diversi organi” precisa l’autore.
Allo scopo di far arrivare allo spettatore determinati concetti, Tsukamoto usa il colore (e questo è vero anche quando sceglie il bianco e nero). Per esempio in Tetzo, il blu, l’arancione, il giallo e tinte molto forti volevano dare l’idea che il corpo va verso la trasformazione nel metallo; usa il blu come la trasparenza di uno specchio che sta per rompersi.
Per la nostra intervista abbiamo privilegiato – vista l’enorme produzione di testi critici sul suo cinema e l’approfondimento sugli aspetti stilistici già emerso durante la masterclass – domande che potessero permettere agli ascoltatori di conoscere alcuni aneddoti e aspetti meno noti della sua opera dove per esempio la stop motion -usata soprattutto nei primi film – gli ha permesso, con un budget molto ridotto di creare ottimi effetti speciali: “Con la stop motion puoi far vedere anche un corpo che esplode, perché si tratta di una tecnica semplice da usare dalla buona resa immedita”. Poi spazio all’aspetto della musica e a come è cambiato il suo lavoro nel passaggio di formati (8-16 mm e poi digitale) dove ci ha precisato l’importanza che intercorre tra la pellicola che ha una sua materialità ed è legata all’arte e al quadro dell’immagine e il digitale, più legato allo scorrere del tempo e a come esso viene frazionato.
Suo lavoro d’attore, su altri set, lo abbiamo interrogato su Silence di Martin Scorsese dove i provini sono come sezioni di jazz. “Scorsese per me è il regista vivente che rispetto di più e lavorare sul suo set è stata tra le cose più importanti fatte nella mia vita”, chiosa Tsukamoto.
Ringraziamo per la traduzione Eugenio De Angelis.
giovanna barreca